UNA CRITICA FEROCE È IN GRADO DI INFIAMMARE GLI ANIMI, COME QUANDO JAMES ABBOTT MC NEILL WHISTLER QUERELÒ NIENTEMENO CHE JOHN RUSKIN.
FU QUESTO UN PROCESSO D’ECCEZIONE CHE SOLLEVÒ DELLE QUESTIONI MOLTO IMPORTANTI SUL MODO DI INTENDERE L’ARTE.
Il 15 novembre 1878, alla Corte d’Assise di Londra, dinnanzi al Barone di Huddleston e ad una speciale giuria, si tenne l’udienza del caso Whistler contro Ruskin.
Tale procedimento vide contrapporsi due personalità molto diverse tra di loro: il pittore dandy, americano di nascita, James Abbott McNeill Whistler e il critico affermato, ricco socialista e verboso moralista, John Ruskin.
Personalità diverse a cui corrispondevano due diverse concezioni dell’arte e del ruolo dell’artista.
L’ANTEFATTO
James Whistler aveva chiamato in causa John Ruskin per diffamazione a seguito di una critica che, anche se non troppo violenta nei termini, era stata comunque fatta da un uomo di enorme influenza sul pubblico del tempo. All’epoca dei fatti Ruskin si trovava all’apice della sua carriera: ricopriva la prestigiosa carica di professore ad Oxford, scriveva per i giornali più rinomati, ed era il punto riferimento per i salotti aristocratici di Londra; le sue opinioni erano accolte come giudizi inappellabili.
La contesa fra queste due personalità verteva su “Nocturne in Black and Gold – The Falling Rocket” (“Notturno in nero ed oro – Il razzo cadente”, oggi conservato al Detroit Institute of Arts di Detroit), opera presentata nel 1877 alla Grosvenor Gallery e ritenuta da Ruskin : ” a pot of paint in the public’s face“, un barattolo di vernice in faccia al pubblico.
Il dipinto in questione costituisce una sorta di anticipazione della pittura astratta: è evidente la netta rottura con la pratica pittorica tradizionale, tale da precorrere di trentacinque anni la pittura assoluta di un Kandinskij.
Inizialmente seguace dell’Impressionismo, con questo lavoro Whistler abbandonò definitivamente il naturalismo, slegando l’opera d’arte da qualsiasi intento aneddotico o realistico. Con pennellate libere e fluide egli cercò di suscitare delle emozioni, per richiamare alla mente, grazie agli spruzzi dorati elegantemente accordati con le varie tonalità di blu e nero sullo sfondo, l’analogia delle scintille festose dei giochi pirotecnici.
LA CRITICA DI JOHN RUSKIN
La tela, oltre alla mordente critica di John Ruskin, fece scalpore anche tra il pubblico presente alla mostra il quale, abituato a soggetti tradizionali, affermò che l’opera sarebbe stata “uguale anche girandola al contrario“, tale era la sua insensatezza artistica.
L’esposizione inaugurava la neonata “Grosvenor Gallery“, fondata da Sir Coutts Lindsay e sua moglie Blanche, per soddisfare un loro innato impulso di generosità mecenatesca.
La cerimonia di apertura era stata un successo di eleganza e raffinatezza mondana, illuminata dalla presenza del Principe e della Principessa di Galles.
Tutti i dipinti presenti riflettevano il gusto decorativo dell’epoca, con soggetti allegorici raffiguranti giovani in costumi di foggia classica e con titoli evocanti paradisi edenici. In un siffatto contesto è possibile comprendere lo sbigottimento generale che suscitarono i quadri dell’eccentrico e controverso Whistler. Sfidando ogni convenzione, egli presentò una serie di notturni londinesi che risultarono scandalosamente rozzi agli occhi di chi era avvezzo a ben altri livelli di definizione formale.
Il 2 luglio del 1877, nella “Fors Clavigera”, il celeberrimo critico e storico dell’arte John Ruskin scrisse questo ferocissimo giudizio sul dipinto di Whistler: “Per il bene di Mr Whistler non meno che per la protezione dell’acquirente, Sir Coutts Lindsay non avrebbe dovuto ammettere in Galleria opere nelle quali la mal educata presunzione dell’artista costeggia così da presso l’aspetto di una deliberata impostura. Prima di adesso ho visto e sentito tanta di quella impudenza cockney, ma non mi sarei mai aspettato che un buffone chiedesse duecento ghinee per sbattere un barattolo di vernice in faccia al pubblico.”
IL PROCESSO TRA WHISTLER E RUSKIN
In seguito a queste dure parole Whistler, infuriato per il danno ricevuto alla sua reputazione, trascinò in tribunale il critico d’arte con una richiesta di risarcimento di mille sterline più le spese processuali.
Dagli atti del processo, trascritti da Whistler nel 1890 in “The Gentle Art of Making Enemies” (“L’arte cortese di crearsi nemici”), si evince il perverso e ottuso bisogno di Ruskin, in questo caso pure un artista mancato, di giudicare un’opera seguendo solo ed esclusivamente i propri canoni visivi, privilegiando un realismo stantio ed accademico, nella strenue difesa di un finito e compiuto artistico che nulla lasciano alla fantasia inventiva e di esecuzione.
Whistler contestava il ruolo della critica ufficiale e la sua incapacità di parlare di un’arte che non le apparteneva: solo all’artista è concesso questo ruolo, in quanto creatore egli è anche l’unica persona in grado di svelare l’intima verità della sua opera.
“Non contesterei in alcun modo la critica tecnica di un uomo che abbia trascorso la vita a praticare la scienza su cui esercita la critica; ma avrei poco rispetto per l’opinione di un uomo la cui vita non si è svolta in questi termini, come fareste voi in questioni di diritto. […] Non è solo quando la critica è prevenuta che trovo da obbiettare, ma anche quando è incompetente. Ritengo che nessuno tranne l’artista possa essere un critico competente.” (James Abbott McNeill Whistler, “L’arte cortese di crearsi nemici”, 1890)
Non furono solo ed esclusivamente l’incompetenza di Ruskin e la sua cecità ad essere chiamate in causa, quanto il suo gusto attardato. In aula si giocava un episodio della querelle entre les anciens et le modernes e Whistler agì da esploratore di un’avanguardia estetica in territorio straniero.
Vista la sagacia dei due protagonisti, il dibattimento si risolse in un elegante e sottile duello verbale che, con stoccate assassine e taglienti, sollevò problemi che diverranno centrali nel corso del Novecento: il rapporto antagonistico tra la critica militante e l’arte in fieri e la piena accettazione dell’artista come intellettuale della società produttiva e non già come buffone da strapazzare.
LA SENTENZA DEL PROCESSO
La giuria esasperata dalla materia del contendere e sfinita dai virtuosismi dialettici dei due, optò per una sentenza salomonica che risultò disastrosa per entrambi. Condannò Ruskin al risarcimento simbolico di un nichelino, senza gravarlo delle spese processuali, che dovettero essere così sostenute sia dal critico che dal pittore.
Ruskin si ritirò dalla vita pubblica e rassegnò le dimissioni dall’incarico di professore. Whistler, vittorioso pubblicamente ma vinto economicamente, si rifugiò a Venezia dove eseguirà delle magnifiche acqueforti che, al suo ritorno a Londra, saranno considerata in modo non meno sprezzante da molti. Diede inoltre disposizioni legali affinché, alla sua morte, il “Notturno” non fosse mai più esposto in Gran Bretagna.
“Consentite dunque che le opere siano ricevute in silenzio, come avveniva in tempi che i virtuosi della penna ancora indicano come l’età dell’oro dell’Arte. E qui veniamo alla spesso ripetuta apologia dell’esistenza del critico e scopriamo quanto sia ridicola. Egli si etichetta come la pustola necessaria alla salute del pittore e scrive che può giovare alla sua Arte. Con lo stesso inchiostro lamenta la decadenza che c’è in giro e dichiara che le opere migliori furono fatte quando egli non era lì a soccorrere. No, consentite che non vi siano critici! Essi non sono un male necessario, ma un male del tutto superfluo, sebbene di certo un male.” (J. McNeill Whistler, “The Gentle Art of Making Enemies”, 1890)