L’ANNUNCIZIONE CON SANT’EMIDIO, DETTA ANCHE ANNUNCIZIONE DI ASCOLI, È UN DIPINTO ESEGUITO NEL 1486 DA CARLO CRIVELLI.
In origine la pala dell’Annunciazione si trovava ad Ascoli Piceno, presso la chiesa della Santissima Annunziata, in seguito a travagliate vicende storiche, oggi l’opera del Crivelli è custodita alla National Gallery di Londra.
ANNUNCIAZIONE CON SANT’EMIDIO, ANALISI DELL’OPERA
Nella stanza numero cinquantasette della Sainsbury Wing, tra capolavori di Andrea Mantegna e di Cima da Conegliano spicca, per densità e ricchezza decorativa, l’Annunciazione con sant’Emidio di Carlo Crivelli. Dopo il primo stordimento iniziale provocato da una sorta di “indigestione sensoriale”, l’occhio comincia a rilassarsi, posandosi sui numerosi dettagli della composizione che fanno da cornice all’episodio evangelico.
Discostandosi dalla tradizione, solita collocare la scena in un giardino o in una stanza, Crivelli ambienta la sua Annunciazione in uno spazio urbano. Le architetture degli edifici, immaginate e reali, si riferiscono esplicitamente alla città di Ascoli per la quale era stata concepita. La Vergine, inginocchiata dietro alla soglia della sua dimora, riceve compita il raggio di luce dello Spirito Santo, mentre sant’Emidio, protettore della città, e l’arcangelo Gabriele partecipano all’epifania da una via laterale.

L’intera iconografia dell’opera è legata ad un preciso avvenimento storico, ossia la conquista della Libertas Ecclesiastica, l’autonomia amministrativa, da parte della città di Ascoli Piceno. La notizia giunse il 25 marzo 1482, ricorrenza della festività dell’Annuncio. Ecco che allora il tema assume anche un significato allusivo, in quanto esso si può anche riferire alla buona novella giunta alla cittadinanza ascolana.
Numerosi sono i rimandi visivi e culturali tra il dipinto e l’evento: la presenza del patrono della città, sant’Emidio, con in mano l’alzato di Ascoli, i colombi viaggiatori portatori dell’annuncio di libertà, la scritta in primo piano Libertas Ecclesiastica, intervallata dallo stemma di Ascoli Piceno, del pontefice Innocenzo VIII e del vescovo Prospero Cafferelli.
Degna dio nota è inoltre la stanza dove si trova la Madonna, ricca di oggetti legati alla vita del tempo, ma anche fortemente simbolici: il letto accuratamente rifatto, segno di una condotta casta, la bottiglia di vetro, indice di purezza, la candela accesa, che accenna alla fede, e la finestra con grata che contiene un alberello in un vaso, evidente rimando all’hortus conclusus quale simbolo della verginità di Maria. Sulla casa troneggia un bellissimo pavone, esotico animale domestico, da sempre manifestazione cristologica di immortalità.
ANNUNCIAZIONE CON SANT’EMIDIO, LE VICENDE STORICHE
Ma come è arrivata l’Annunciazione di Carlo Crivelli alla National Gallery di Londra? L’opera, firmata e datata, venne realizzata per la chiesa dei frati minori osservanti, dedicata alla Vergine Annunciata, di Ascoli Piceno. E lì vi rimase fino all’arrivo di Napoleone che, il 2 agosto del 1811, decise di trasportarla a Milano, allora Capitale del Regno Italico, dove si era costituita una pinacoteca che doveva essere il compendio della produzione artistica italiana. Ma il dipinto, forse a causa del suo pessimo stato di conservazione, fu presto venduto a Auguste-Louis de Sivry, noto collezionista e mercante d’arte francese, che, approfittando delle spoliazioni napoleoniche, fece numerosi affari nella nostra penisola.
Fu così che la tavola del Crivelli, trasportata su tela nel 1881, finì così sul mercato e, dopo vari passaggi di mano, entrò a far parte della collezione dell’inglese Lord Tauton che, nel 1864, la donò alla National Gallery.

Resta ancora una questione da chiarire, ossia il motivo che indusse i francesi a concentrare la loro attenzione sulle opere del Crivelli, un pittore sconosciuto all’epoca. Assieme all’Annunciazione vennero infatti portati a Milano, dai soppressi edifici religiosi delle Marche, altri tredici capolavori dell’artista. La risposta forse si trova proprio dinanzi ai nostri occhi, nella magnificenza visiva della sua pittura, che ci incanta ancora oggi, a più di cinque secoli di distanza.
“ … la forza nativa del Crivelli, la sua immaginazione sublime di una linea duttile, ansiosa, spesso lacerante …” (Roberto Longhi)