NELLA VIENNA CHE ROBERT MUSIL AVEVA DEFINITO “CITTÀ DA SOGNO”, SIGMUND FREUD GIUNSE ALLA CONCLUSIONE CHE I SOGNI ERANO “LA STRADA PRINCIPALE PER LA CONOSCENZA DEI MECCANISMI DELL’INCONSCIO”.
“Nelle pagine seguenti mi propongo di dimostrare che esiste una tecnica psicologica che rende possibile interpretare i sogni, e che, se si applica questo procedimento, ogni sogno si rivela come una formazione psichica piena di significato che va inserita in un punto determinabile dell’attività mentale della veglia.” (Sigmund Freud, “L’interpretazione dei sogni”, 1899)
SIGMUND FREUD E L’ARTE
Al volgere del secolo Diciannovesimo, Sigmund Freud diede alle stampe “L’interpretazione dei sogni” (Die Traumdeutung, 1899), testo chiave per la “conoscenza dell’inconscio nella vita psichica.” Quello che, nelle intenzioni dell’autore, si proponeva come la teorizzazione di una nuova scienza, venne immediatamente acquisita dagli artisti del Novecento come uno strumento alternativo per scandagliare la realtà. L’entusiasmo che la sua opera riscosse al di fuori dell’ambiente scientifico non colpì particolarmente Freud, anzi lo irritava sapere che le sue ricerche venivano associate a fenomeni di questo genere.
“Se nella scienza esistesse il diritto alla rivalsa, sarei certamente a mia volta giustificato se trascurassi la letteratura che è apparsa dal momento della pubblicazione di questo libro. I pochi resoconti comparsi su riviste scientifiche dimostrano una così grande incompresione e così tanti malintesi che dovrei replicare ai critici solamente con l’invito a rileggere questo libro. O forse, più semplicemente, a leggerlo.” (Sigmund Freud “L’interpretazione dei sogni”, poscritto del 1909)
Freud non amava l’arte a lui contemporanea; considerava gli espressionisti e i surrealisti come dei “matti“, in quanto confondevano gli istinti primari con l’arte. Secondo lui compito dell’artista doveva essere quello di sublimare i meccanismi inconsci e non di gettarli in faccia allo spettatore.
Il 21 giugno 1921, commentando un opuscolo che gli era stato inviato da Oscar Psister, scrisse: “ho preso in mano il suo opuscolo sull’espressionismo con curiosità fervida e con altrettanta avversione, questi individui non possono pretendere al titolo di artisti.”
I suoi gusti si volgevano all’ammirazione dei grandi maestri del passato, con una spiccata predilezione per il lavoro di Leonardo da Vinci, del quale si occupò nel saggio del 1910 “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” (Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci).
LA PSICOANALISI E L’ARTE
Intanto a Parigi, negli anni Venti del Novecento, la psicoanalisi era l’argomento principale di conversazione nei caffè, dove si riunivano gli intellettuali dell’epoca, e tema di chiacchiere, più o meno serie, nei salotti della buona società: la curiosità per questo fenomeno chiamato inconscio dilagava in modo incontrollabile.
Furono soprattutto le avanguardie artistiche ad utilizzare questa nuova disciplina per dare fondamento all’indagine dell’universo onirico. La teoria di Freud dava dignità ad una nuova arte che intendeva andare oltre la realtà dei sensi, per indagare quella surrealtà frutto delle nostre visioni notturne.
Attraverso la psicoanalisi si compì una vera e propria rivoluzione estetica: l’arte smise di provocare piacere e cominciò a creare ansia, disagio e disperazione. L’arte gridava invece di raccontare.
Nonostante lo ritenessero alla stregua di un padre spirituale, Freud si ostinava a non comprendere gli artisti moderni, “puri folli, o diciamo puri al 95 per cento, come l’alcool …”.
In una lettera indirizzata ad André Breton, il quale nel 1937 aveva chiesto a Freud di partecipare alla pubblicazione di una raccolta di sogni narrati da autori surrealisti, così spiegò il suo diniego: “mi dispiace moltissimo di non potere esaudire la sua richiesta. Prima di tutto devo confessare che non ho più niente di nuovo da dire sui sogni. E poi la prego di notare che il racconto di un sogno fine a se stesso non mi interessa… una collezione di sogni, senza le associazioni connesse, senza la conoscenza delle circostanze in cui sono stati fatti, non ha per me alcun significato e non penso che lo possa avere per gli altri.”
SIGMUND FREUD E L’ARTE, UN AMORE NON CORRISPOSTO
Quello fra arte e psicoanalisi fu un amore non corrisposto, anzi il medico viennese deprecava l’arte in quanto prodotto della fantasia, facoltà per lui rivelatrice dell’uomo malato, insoddisfatto, infelice e nevrotico.
Nonostante questo deciso rifiuto non si potrebbe concepire l’arte del Novecento senza la psicoanalisi ed il prezioso contributo che diede all’esplorazione dei moti interiori della psiche umana. Pur non avendolo previsto, Sigmund Freud aprì una strada alternativa agli artisti, aiutandoli ad immergersi nei recessi più reconditi della loro mente.
L’arte del nuovo secolo trovò in Freud la giustificazione scientifica a quel malessere di vivere che già da tempo serpeggiava nel marasma del quotidiano: un nuovo mondo veniva alla luce dove le avanguardie urlavano la loro rivoluzione.
“Mai c’è stata un’epoca scossa da un orrore simile e dalla paura della morte. Mai si era steso sul mondo un tale sepolcrale silenzio. Mai l’uomo è stato così piccolo. Mai l’uomo è stato afferrato da tanta angoscia. Mai la gioia è stata così lontana e la libertà morta. E ora grida tutta la sua miseria: l’uomo grda reclamando la sua anima, dal nostro tempo sale un unico urlo di disperazione. Anche l’arte grida nelle tenebre, grida in cerca d’aiuto, grida in cerca dello spirito: questo è l’espressionismo.” (Hermann Bahr, “Espressionismo”, 1916)