GIORGIO DE CHIRICO FU UN GRANDE PRECURSORE; CON LA SUA PITTURA METAFISICA EGLI SEPPE ANTICIPARE LA POETICA DEL SURREALISMO.
Muse inquietanti, piazze deserte, levigate colonne e busti di marmo, furono i soggetti principali della sua opera, rappresentazioni del nostro inconscio e dei misteri più profondi della realtà.
“Ogni oggetto presenta due aspetti: l’aspetto comune, che è quello che generalmente si scorge, e che tutti scorgono, e l’aspetto spirituale e metafisico, che solo pochi individui riescono a vedere, in momenti di chiaroveggenza o di meditazione metafisica. L’opera d’arte deve richiamare un aspetto che non si manifesta nella forma visibile dell’oggetto rappresentato.” (Giorgio De Chirico)
LA GENESI DELLA METAFISICA
La nascita della Metafisica si colloca, convenzionalmente, nel 1910 anno in cui Giorgio De Chirico realizzò L’enigma di un pomeriggio d’autunno. Lo stesso De Chirico, in uno scritto del 1912, raccontò la genesi dell’opera destinata ad inaugurare una nuova corrente pittorica.
“Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a Piazza Santa Croce a Firenze. Non era certo la prima volta che vedevo questa piazza. Ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale e mi trovavo in uno stato di sensibilità quasi morbosa. La natura intera, fino al marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. In mezzo alla piazza si leva una statua che rappresenta Dante avvolto in un lungo mantello, che stringe la sua opera contro il suo corpo e inclina verso terra la testa pensosa coronata d’alloro. La statua è in marmo bianco, ma il tempo gli ha dato una tinta grigia, molto piacevole a vedersi. Il sole autunnale, tiepido e senza amore illuminava la statua e la facciata del tempio. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito; ed ogni volta che guardo questo quadro rivivo quel momento. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile. Perciò mi piace chiamare enigma anche l’opera che ne deriva.” (Giorgio De Chirico)
Firenze, dunque, al tempo centro di vivaci scambi artistici ed intellettuali, fu la patria d’elezione della nuova arte metafisica.

L’ENIGMA DI UN POMERIGGIO D’AUTUNNO, ANALISI DELL’OPERA
L’Enigma di un pomeriggio d’autunno venne esposto per la prima volta a Parigi, durante il Salon d’Automne del 1912.
Il dipinto ha una struttura abbastanza semplice, ma la grande novità risiede nella capacità di De Chirico di vedere in modo nuovo qualcosa di conosciuto: lo spazio largo della piazza fiorentina diviene uno spazio compresso, il duomo in stile gotico si trasforma in un tempio greco e la statua di Dante assume l’aspetto di una statua antica.

La metafisica si configura come la capacità di andare oltre l’apparenza delle cose, per ricercarne la loro spiritualità intrinseca: non reinventa la realtà ma il suo significato, avventurandosi nei territori ignoti del mondo visibile.
Utilizzando elementi familiari e comuni, De Chirico costruì un nuovo universo: un universo enigmatico e denso di mistero.
“Niente ci può far credere che alcune cose abituali non contengano, virtualmente, una maggiore meravigliosità di quella che alcuni cercano nelle avventure e negli spettacoli più singolari. (…) Noi viviamo in mezzo a delle cose che non ci sembrano miracoli unicamente perché si ripetono troppo. (…) Noi siamo abituati a questa esistenza e a questo mondo, non ne sappiamo più vedere le ombre, gli abissi, gli enigmi, le tragedie e ci vogliono ormai degli spiriti straordinari per scoprire i segreti delle cose ordinarie. Vedere il mondo comune in modo non comune.” (Giovanni Papini, Il tragico quotidiano, 1906)
LO STILE DI GIORGIO DE CHIRICO
L’arte di Giorgio De Chirico è un’arte colta, intrisa di pensiero e di rigore compositivo; eludendo le deformazioni dell’Espressionismo, evitando le scomposizioni di ascendenza cubista o futurista, egli abbracciò una pittura del tutta moderna, pur nel rispetto della costruzione formale.
La sua grande rivoluzione fu quella di elaborare un’immagine che, nel rispetto dell’integrità della figura e della precisione della forma, collocava quella figura e quella forma in un’atmosfera sospesa, straniante, stupefatta, bloccata nel tempo.
La persona umana e, più in generale, tutto ciò che ha vita costituiscono un paravento: la rivelazione nasce da una sorta di pietrificazione, dalla sostituzione del paesaggio con l’architettura, dell’uomo con la statua o con il manichino.

“L’arte […] ci consiglia oggi più che mai l’inquadramento e la pietrificazione totale dell’universo. Il cielo deve essere serrato tra i rettangoli delle finestre e le arcate dei portici cittadini perché lo si possa mungere sapientemente alle vaste mammelle della sua cupola traditrice. La stessa terra […] è vinta oggi dalla metafisicità delle umane costruzioni […] Tu vedi una stazione ferroviaria, una piazza circondata di cubi di pietra colorata e adorna di squares e di statue in paletot, far zampillare getti altissimi, veri geyser di lirismo metafisico, che chiederesti invano a tutti o paesaggi ridenti e tetri del nostro pianeta.” (Giorgio De Chirico)
L’ENIGMA DELL’ORA, ANALISI DELL’OPERA
Un tema molto caro a De Chirico fu quello del tempo che trovò nell’orologio la sua espressione più completa. Ne L’enigma dell’ora, dipinto nel 1911, è raffigurata la piazza della stazione di Torino, con l’orologio tondo sopra la fila di arcate e la fontana zampillante in primo piano. L’orologio e le arcate hanno la funzione di sospendere il tempo e di fissarlo in un istante preciso.
Se infatti Firenze fu per De Chirico fonte di educazione culturale, Torino fu la città che più di ogni altra gli fornì spunti iconografici: l’edificio della stazione, la mole antonelliana, le piazze con i porticati, i monumenti equestri.
“La vera stagione per Torino, quella durante la quale meglio si manifesta la sua grazia metafisica, è l’autunno. […] E’ la stagione dei filosofi, dei poeti e degli artisti inclini a filosofare. Nel pomeriggio le ombre sono lunghe e dovunque regna una dolce immobilità. […] Per mio conto, credo che questa armonia, così squisita da diventare quasi insostenibile, non sia stata estranea alla follia di Nietzsche, il cui spirito già provato non poteva ricevere impunemente simili scossoni. Fatte per fortuna le debite proporzioni, anch’io attraversavo una crisi di melanconia e di pessimismo quando all’improvviso mi venne questa rivelazione. […]Lo charme autunnale di Torino è reso ancora più penetrante dalla costruzione rettilinea e geometrica delle vie e delle piazze.” (Giorgio De Chirico)

L’autunno, il meriggio-pomeriggio e la sera, costituiscono chiare allusioni al tramonto della civiltà, riproposte anche attraverso il libero gioco della contraddizione prospettica e costruttiva. Rapporti topologici volutamente errati creano la sensazione angosciante di un palcoscenico sul vuoto, il grande vuoto del cielo senza dei.
Con la sua pittura De Chirico praticò un cosciente recupero del repertorio iconografico degli antichi, attualizzandone forme e contenuti: una classicità “moderna”, che veste il contemporaneo di antico, esprimendo un sentimento di assenza e d’illusorietà; la nostalgia degli eroi sognati da bambini.
“Il nuovo pittore metafisico sa troppe cose. Sul suo cranio, nel suo cuore, simili a dischi sensibili di cera manosa, troppe cose hanno segnato impronte e richiami e ricordi e vaticini, troppe scritture hanno sciolto il nastro, troppe divinità sono morte e rinate e morte ancora della morte senza risurrezione… Egli non riceve più impressioni, ma scopre continuamente… nuove spettralità.” (Giorgio De Chirico)
