AGNOLO BRONZINO FU UNO DEI GRANDI INTERPRETI DEL MANIERISMO ITALIANO. ELEGANTE E RAFFINATO, CON LA SUA PITTURA DIEDE VOCE AI FASTI E ALLO SPLENDORE DELLA CORTE MEDICEA.
“Il pittore ufficiale mise in opera tutto il suo talento, tutte le finezze delle sue figurate costruzioni, tutti i fregi, i ricami, i merletti, i tessuti più belli a gloria della corte medicea.” (Adolfo Venturi)
AGNOLO BRONZINO, LE ORIGINI
Agnolo di Cosimo di Mariano Tori, detto il Bronzino probabilmente per il colore dei capelli, nacque a Firenze il 17 novembre 1503 da una famiglia di umili origini. Il padre era un modesto macellaio, ma Agnolo ebbe la fortuna di vivere in uno dei maggiori centri propulsivi dell’arte italiana, potendo così mettere a frutto le sue doti creative.
Dopo un breve apprendistato presso Raffaellino del Garbo, Bronzino, attorno al 1517, entrò nella bottega del Pontormo con il quale instaurò un rapporto di grande amicizia. Il suo primo incarico noto risale al 1523, anno nel quale affiancò il suo maestro nella realizzazione degli affreschi della Certosa del Galluzzo a Firenze. Sempre con Pontormo, nel 1525, lavorò nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, dove eseguì i tondi con gli evangelisti Matteo. Luca e Marco per la cappella Barbadori-Capponi.
Bronzino si dimostrò un valente allievo, sviluppando uno stile che, prendendo le mosse dal Pontormo, si evolse in modo del tutto innovativo ed originale.
“Mentre il Bronzino tiene qualcosa del freddo, del determinato e del finemente aristocratico, il Pontormo invece, come scolaro di Andrea del Sarto, è più molle e più sfumato, e nel suo modo di concepire manifesta in genere una natura prettamente borghese.” (Gustavo Frizzoni)
AGNOLO BRONZINO, IL PITTORE DI CORTE
La sua pittura elegante e raffinata, tesa a trasfigurare la realtà in un’atmosfera di algida bellezza, gli valse il plauso di Cosimo I de’ Medici il quale nel 1540 lo nominò pittore di corte. Un incarico prestigioso, che consentì al Bronzino di manifestare la sua grande capacità ritrattistica e la sua eccelsa tecnica pittorica. A questo periodo risalgono opere di sofisticata precisione, fulgida espressione dei fasti dei Medici e del loro prestigioso entourage.
Una menzione speciale merita il “Ritratto di Bia de’ Medici”, figlia illegittima di Cosimo I, nonché la sua primogenita. La fanciulla nacque nel 1537, prima del matrimonio del duca con Eleonora di Toledo, e ancora oggi non abbiamo notizie certe circa l’identità della madre. Bia morì a soli cinque anni di età e il dipinto, datato 1542, secondo alcuni storici fu eseguito dopo la sua scomparsa.
Il suo abbigliamento e i monili che indossa ci fanno subito capire che si tratta del ritratto di una bambina importante: ai lobi porta due preziosi pendenti, il collo è cinto da una collana di perle e da una catena d’oro con un medaglione con inciso il profilo di Cosimo I, la vita è ornata da un’altra catena d’oro, e l’abito bianco che indossa, seppure semplice, denota una fattura pregiata.
Il ritratto di Bia, conservato presso La Galleria degli Uffizi di Firenze, costituisce un esempio della maestria del Bronzino nel raffigurare i bambini, rappresentati con un elevato grado di naturalismo.
Ma il ritratto più celebre è sicuramente quello di Eleonora di Toledo. L’opera risale al 1545, quando la donna aveva ventitré anni, e da sei era la moglie del duca Cosimo I. La duchessa si presenta con a fianco il figlioletto Giovanni, il suo secondogenito, dietro di loro un fondo blu oltremare nel quale si intravede, sulla destra, un paesaggio, allusione ai vasti possedimenti della famiglia Medici.
Il vero protagonista del quadro sembra però essere l’abito di Eleonora, un abito sontuosissimo, reso con un realismo materico di una meticolosità quasi ossessiva.
La veste fu disegnata da Antonio Bacchiacca, pittore ed artista di corte, e realizzata in seta bianca intrecciata di fili d’argento su cui spiccano motivi decorativi in velluto nero, controtagliato e broccato, intessuto di fili d’oro. Le maniche sono legate al corpetto attraverso cordoncini e bottoni dorati e, tagliate lungo le braccia, lasciano intravedere la camicia che esce dagli sbuffi.
Con questo ritratto il Bronzino elevò Eleonora di Toledo a icona della moda italiana, preziosa testimonianza dell’eccellenza della manifattura fiorentina del tempo.
“Il Bronzino pittore di corte dispiega a un tempo la fine precisione del fiorentino e lo sfarzo dello spagnolo, la perfetta forma ideale idoleggiata da Michelangelo e la realizzazione di ogni materia degna di un grande colorista. Tutto il carattere ufficiale e aulico del ritratto è portato a un tale estremo, che non vi manca l’impronta della fantasia, della sintesi di forma e contenuto, dell’equilibrio tra l’ideale aspirazione e la realtà raggiunta; e ne risulta un’opera d’arte completa e perfetta.” (Lionello Venturi)
AGNOLO BRONZINO, L’EPILOGO
Eccelso artista e grande letterato, il Bronzino fu anche uno dei protagonisti della riforma della Compagnia di San Luca, che avrebbe condotto alla fondazione della più moderna Accademia delle Arti e del Disegno, istituzione volta alla tutela e alla supervisione della produzione artistica nel principato mediceo.
La sua incessante attività pittorica fu interrotta solamente con il sopraggiungere della morte. Il 23 novembre 1572, nella casa dove viveva con il suo compagno e allievo prediletto Alessandro Allori, Agnolo Bronzino passò a miglior vita. La sua salma riposa nella chiesa di San Cristoforo degli Adimari.
La sua ultima opera, un grande affresco realizzato per la basilica di San Lorenzo, venne completata da Alessandro Allori, come segno di devozione per il suo maestro.
“L’arte del Bronzino è come un riflesso freddo e pacato, una distillazione limpida, una preziosa cristallizzazione di quella di Michelangelo e di Pontormo. Il dinamismo ansioso e tragico di quei due artisti inquieti si placa e si immobilizza in Bronzino, spirito sereno e senza passioni. Tutte le immagini del vero sensibile appaiono nei quadri di questo pittore filtrate, e sto per dire, sublimate attraverso un intelletto sano, continuo, freddamente felice, quasi imprigionate nella durezza e limpidezza di un ghiaccio.” (Mario Tinti)