NELL’ATMOSFERA SURREALE DELLA BASSA PADANA, TRA I FILARI DEI PIOPPI E LE GOLENE DEL PO, NACQUE LA LEGGENDA DI ANTONIO LIGABUE, L’ARTISTA GENIALE CHE DIPINGEVA I SUOI SOGNI.
“Io sono un grande artista. Quando sarò morto i miei quadri costeranno tanto!” (Antonio Ligabue)
ANTONIO LIGABUE, LE ORIGINI
Il 18 dicembre 1899, a Zurigo, Maria Elisabetta Costa, ragazza madre originaria di Cencenighe Agordino, paese montano della provincia di Belluno, diede alla luce il piccolo Antonio, che venne registrato all’anagrafe come Antonio Costa.
In seguito la donna conobbe un sarto emiliano, Bonfiglio Laccabue, che se la prese in moglie e adottò il figlio. La coppia mise al mondo altri fanciulli e così il piccolo Antonio, divenuto all’anagrafe Antonio Laccabue, venne dato in adozione ai coniugi Göbel, Johannes ed Elise, che si presero cura di quel ragazzino difficile, brutto e sgraziato, che manifestava numerosi problemi fisici e psicologici.
Nel 1913 il patrigno di Antonio portò alla famiglia della carne da cucinare, un evento assai raro per la mensa di gente comune. La carne si rivelò avariata. Morirono tutti: Elisabetta, la madre, e i tre fratellastri di Antonio, solo Bonfiglio si salvò.
Antonio, che era già stato affidato alle cure dei Göbel, da quel momento non volle più portare il nome del patrigno, l’assassino di sua madre, e il cognome Laccabue mutò in Ligabue.
La tragedia aggravò la sua precaria condizione mentale: ricoverato in una clinica psichiatrica, si farà espellere dalla Svizzera per i suoi comportamenti aggressivi e litigiosi.
“Io gli animali so come sono fatti anche dentro.” (Antonio Ligabue)
ANTONIO LIGABUE, LA LEGGENDA DI “TONI AL MAT”
Durante l’estate del 1919 due carabinieri scortarono Antonio Ligabue a Gualtieri, il paese d’origine dell’uomo che la mamma aveva sposato.
Qui cominciò la leggenda di “Toni al mat”, l’uomo che viveva ai margini, scansato, deriso e temuto da tutti i suoi compaesani. In questo piccolo paese Ligabue trovò il giusto ambiente per dare sfogo alla sua creatività: le brume della provincia italiana più triste e più dura accesero la sua vena fantastica.
“Se dovessi narrare in una riga la storia di Ligabue, direi che era meraviglioso come noi.” (Cesare Zavattini)
Una predisposizione al sogno, favorita dalla natura orizzontale della pianura, unita ad una natura bizzarra e stralunata, furono l’humus fondante della sua pittura fatta di incubi e desideri, nostalgie e paure, radicati nelle ferite più profonde dell’Io.
I suoi soggetti preferiti erano costanti e ricorrenti, ripetuti in modo ossessivo: tigri con le fauci spalancate, galli in lotta, spietati leopardi, leoni nell’atto di aggredire serpenti: un colorato bestiario interiore che grida, ancor oggi, tutta la rabbia e l’inquietudine dell’uomo.
Anche se la sua opera non può e non deve essere vista come il frutto esclusivo del suo disagio esistenziale, è indubbio che le vicende umane di Ligabue abbiano contribuito ad alimentare la sua visione antinaturalistica della realtà.
ANTONIO LIGABUE, GLI AUTORITRATTI
Nel suo casolare isolato nei boschi, nascosto alla vista degli abitanti di Gualtieri, Ligabue faceva quello che sapeva fare, ossia dipingere, con una dedizione esasperata ed assoluta.
Dipingere per sopravvivere al suo essere diverso, per difendersi da un mondo che lo additava come un folle. E la sua diversità Ligabue l’ha raccontata pienamente nei suoi autoritratti, nei quali cercava di affermare disperatamente la propria identità.
Tra il 1940 ed il 1962, egli dipinse 123 autoritratti: in sella alla sua amata moto Guzzi rossa, in veste di artista, oppure semplicemente ripreso a mezzo busto. Anno dopo anno, il pittore ci narra la sua storia di uomo e di artista: i tratti del volto si induriscono, le rughe si accentuano, le spalle si incurvano, con l’avanzare dell’età e con il gravame della sofferenza.
“A me faranno un film quando sarò morto, a me faranno una grande mostra a Parigi, a me faranno un monumento, perché sono un grande artista, avete capito?” (Antonio Ligabue)
ANTONIO LIGABUE, L’EPILOGO
Il 18 novembre 1962 l’artista fu colpito da una emiparesi. Fu soccorso da Cesarina, robusta e matura ostessa della Locanda Crocebianca di Guastalla, che Antonio sognava di prendere in moglie.
Dopo una lunga immobilità a letto, Antonio Ligabue morì a Gualtieri il 27 maggio 1965. L’amico e artista Andrea Mozzali gli fece una maschera mortuaria, oggi posta sulla sua lapide.
L’epitaffio sulla sua tomba così recita: “Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore.”
Nel 2015, in occasione dei cinquant’anni della sua morte, si è costituita a Gualtieri la Fondazione Museo Antonio Ligabue, con lo scopo di preservare e diffondere la memoria dell’artista.
La sede si trova in Palazzo Bentivoglio, edificio cinquecentesco progettato dall’ingegnere ferrarese Giovan Battista Aleotti.