EGON SCHIELE, NEL CORSO DELLA SUA BREVE MA INTENSISSIMA CARRIERA, REALIZZÒ NUMEROSI AUTORITRATTI, ASSECONDANDO UN GENERE MOLTO IN VOGA TRA GLI ARTISTI DEL VENTESIMO SECOLO.

Dipingo autoritratti perché sono spesso sola, perché sono la persona che conosco meglio.” (Frida Kahlo)

 

IL NOVECENTO E LA NASCITA DELLA SOGGETTIVITÀ

 

Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si era venuta a creare una frattura molto profonda tra la cultura oggettiva, quella su cui si fondava lo sviluppo della società nel suo insieme, e quella soggettiva, che nei valori condivisi aveva smesso di riconoscersi; tutto ciò portò ad una dissociazione tra il destino individuale dell’uomo e la moderna realtà borghese ed industrializzata.

A questo stato di cose gli artisti reagirono con l’isolamento e la devianza, oppure cercando in loro stessi le cause di un disagio che avvertivano con grande lucidità, sconfinando spesso in atteggiamenti deliranti ed ossessivi.

Il ritratto che faccio meglio è quello della persona che conosco meglio.” (Nadar)

 

Egon Schiele, Autoritratto con camicia a righe, 1910
Egon Schiele, Autoritratto con camicia a righe, 1910

 

L’autoritratto costituì lo strumento prediletto dagli artisti per indagare le proprie nevrosi, stravolgendone il ruolo tradizionalmente ricoperto come mezzo di autocelebrazione e d’integrazione nel contesto civile.

Il ritratto si affermò così come bandiera di emarginazione: non più affermazione di sé e del proprio successo, ma testimonianza del proprio fallimento e di una condizione di sofferenza esistenziale. L’artista autoesclusosi dalla società diventò una sorta di nuovo messia, il portavoce di una condizione drammaticamente e irreversibilmente scissa dell’uomo gettato in un mondo ostile dove, secondo le lungimiranti parole di Nietzche, “Dio è morto”, o almeno non opera più per il bene dell’umanità.

 

GLI AUTORITRATTI DI EGON SCHIELE

 

In soli dieci anni di attività, mori a soli ventotto anni, Egon Schiele dipinse circa duecentocinquanta autoritratti tra oli, acquerelli e disegni, indagando con esasperata crudezza la propria fisicità. I dettagli del volto, il corpo spesso esibito nella sua nudità, furono il manifesto di una dolorosa condizione interiore, il sintomo di un malessere profondamente radicato.

Le sue immagini, dal segno tagliente e dai colori disturbanti, segnarono il passaggio di una nuova arte, lontana dal sogno estetizzante dei virtuosismi decorativi di matrice secessionista, l’arte cominciava ad urlare la sua disperazione con toni spiccatamente espressionisti.

L’angoscia urla forte; l’uomo urla la sua anima; nella grande tenebra, essa invoca aiuto, grida allo spirito: ecco l’Espressionismo.” (Hermann Bahr)

 

Egon Schiele, Autoritratto con spalla nuda sollevata, 1912
Egon Schiele, Autoritratto con spalla nuda sollevata, 1912

 

Impietoso, esasperato, crudele, scandaloso, irritante, disturbante nella sua voluta mancanza di armonia compositiva, Egon Schiele con la sua opera mise in scena i fantasmi della sua psiche, gettando in faccia al pubblico tutto il peso della sua sconfitta. Ogni suo autoritratto costituisce una stazione di una Via Crucis pagana, l’appello disperato di un individuo che ha perso qualsiasi certezza, minacciato com’è nella sua integrità.

 

EGON SCHIELE INTERPRETE DELLA MODERNITÀ

 

Attraverso l’analisi della sua persona, Egon Schiele indagò il disagio dell’uomo moderno di fronte alla spersonalizzazione imposta dal mondo dell’industria e della tecnica: un contrasto non più sanabile divenuto forma patologica di alienazione.

Nel continuo tentativo di controllare la propria identità perduta irrompe prepotente anche il tema del doppio, inteso come il riflesso di un altro sé, ultimo baluardo in difesa dell’Io, ma anche fonte di terribile angoscia e di scissione schizofrenica.

Io sto dipingendo quel me stesso su cui poso lo sguardo, io sono contemporaneamente colui che guarda e colui che è visto.” (Egon Schiele)

 

Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi, 1912

 

Egon Schiele si immolò nel ruolo dell’artista tormentato ed incompreso, prigioniero di una coscienza troppo acuta che non riesce a piegarsi alle derive della storia. Come sosteneva Baudelaire l’artista, pervenuto alla consapevolezza della propria grandezza e diversità rispetto ai canoni borghesi, è come l’albatro “principe delle nubi che sta con l’uragano e ride degli arcieri; esule in terra fra gli scherni, impediscono che cammini le sue ali da gigante.”

I miei rozzi insegnanti mi furono sempre nemici. Loro – e altri – non mi capivano. Il sentimento più alto è quello della religione e dell’arte. La natura è funzione, ma Dio è là, e io lo sento intensamente, con la massima intensità. Credo che non esista un’arte moderna, c’è solo un’arte, che non conosce interruzioni.” (Egon Schiele)

 

Egon Schiele, Autoritratto con braccio attorno alla testa, 1910
Egon Schiele, Autoritratto con braccio attorno alla testa, 1910