ELISABETTA SIRANI FU UNA DELLE FIGURE ARTISTICHE PIÙ INFLUENTI DEL SUO TEMPO. IN SOLI DIECI ANNI DI ATTIVITÀ CI HA LASCIATO PIÙ DI DUECENTO OPERE TRA DIPINTI, INCISIONI E DISEGNI, A TESTIMONIANZA DEL SUO PRODIGIOSO FUROR CREATIVO.
“Prodigio dell’arte, gloria del sesso donnesco, gemma d’Italia, sole d’Europa, l’Angelo vergine che dipinge da homo, ma anzi più che da homo.” (Carlo Cesare Malvasia, Felsina pittrice, 1678)
ELISABETTA SIRANI, L’ORIGINE E LA FAMA
Elisabetta Sirani nacque a Bologna l’8 gennaio 1638 da Margherita e Giovanni Andrea Sirani, affermato pittore e stimato mercante d’arte, nonché primo assistente del maestro Guido Reni. Maggiore di quattro fratelli, ella si formò presso la scuola del padre, dove studiarono anche le due sorelle Anna ed Anna Maria, mentre Antonio, il fratello più piccolo, trascurò l’arte per dedicarsi alla medicina.
Cominciò la sua attività di pittrice producendo opere di piccole dimensioni destinate alla devozione privata, i cosiddetti “quadretti da letto”. Fin dai suoi esordi Elisabetta si servì di tecnica particolare che, non tralasciando l’accuratezza dei dettagli, le consentiva una grande velocità di esecuzione.
La prima commissione ufficiale risale al 1658, quando il priore Daniele Granchio le affidò l’esecuzione del Battesimo di Cristo per la chiesa di San Girolamo della Certosa, il centro monastico certosino di Bologna. L’opera faceva parte di un ciclo, avente per soggetto la vita di Cristo, per la realizzazione del quale vennero chiamati i più importanti pennelli della città. L’aver convocato la Sirani comprova il talento della donna, oltre a costituire una preziosa testimonianza dell’apertura mentale dei monaci, pronti a dare spazio ai talenti emergenti anche di sesso femminile.
A questo grandioso debutto seguirono numerose richieste da parte della nobiltà locale e straniera: Elisabetta, poco più che ventenne, aveva già raggiunto una fama internazionale. Artista di grandi capacità e di notevole intraprendenza, nella sua esistenza diede prova anche di una certa determinazione; in un’epoca in cui gli studi accademici erano preclusi al gentil sesso, la Sirani aprì una scuola d’arte per consentire anche alle donne di formarsi come pittrici.
ELISABETTA SIRANI, LO STILE E L’OPERA
Nell’arco della sua breve e fulminante carriera, morì ad appena ventisette anni di età, Elisabetta Sirani eseguì quasi duecento opere: era una lavoratrice instancabile, dipingeva in modo ossessivo concedendosi la domenica come unico giorno di tregua.
La sua rapidità di esecuzione venne da molti giudicata con una certa diffidenza, tanto che fu costretta a dare delle dimostrazioni pubbliche per difendere la paternità dei suoi quadri. A poco a poco il suo studio bolognese, al numero sette di via Urbana, divenne la meta prediletta di collezionisti, artisti, ammiratori o semplici curiosi.
La sua produzione pittorica, oltre a brillare per quantità, si fece notare anche per la varietà dei soggetti trattati, abbracciando rappresentazioni di carattere sacro, di natura allegorica e scene di tipo mitologico. Un posto di primo venne riservato alle vicende delle eroine nelle quali, al pari della sua famosa collega Artemisia Gentileschi, si distinse per finezza di esecuzione e felicità di espressione.
Porzia che si ferisce alla coscia per dimostrare il proprio coraggio al marito Bruto, Timoclea che getta in un pozzo il soldato di Alessandro Magno dal quale aveva subito violenza, oppure Giuditta che stringe vittoriosa la testa mozzata del generale Oloferne: donne coraggiose e capaci nelle quali Elisabetta pare riconoscersi.
Al pari delle sue eroine Elisabetta venne giudicata singolare rispetto alla tradizione che riconosceva alla donna esclusivamente il ruolo di angelo del focolare; l’atteggiamento comune fu quello di trasformare questa anomalia in un prodigio visto con sospetto e diffidenza, quasi fosse opera della mano del diavolo. La società non era ancora pronta ad accogliere una donna in un contesto dominato da uomini.
Il suo stile si caratterizzò per una certa inventiva: rispetto alla serena pacatezza della pittura paterna, Elisabetta diede prova di una dirompente vitalità compositiva nei tagli delle inquadrature, dimostrando una certa sensibilità cinematografica ante litteram.
ELISABETTA SIRANI, L’EPILOGO
Il 29 agosto 1665, Elisabetta Sirani si spense tra atroci dolori e sofferenze. La sua fine fu così repentina ed inattesa che destò non poche perplessità. Si pensò subito ad un omicidio per mezzo di avvelenamento. I sospetti caddero su Ginevra Cantofoli, una sua alunna, sul padre e sulla domestica, ma nessuno fu mai accusato formalmente.
L’autopsia mise in luce la presenza di numerose ulcere perforate nello stomaco. Oggi possiamo affermare con certezza che la Sirani morì di morte naturale, la donna si era letteralmente “ammazzata di lavoro”.
I resti di Elisabetta Sirani riposano nella Basilica patriarcale di San Domenico a Bologna, accanto al grande maestro Guido Reni.
ELISABETTA SIRANI, CURIOSITÀ
Donna eccezionale, colta e dotata di un sottile senso dell’ironia, Elisabetta Sirani firmò ogni sua opera – fatto alquanto inusuale per il suo tempo – apponendo spesso il suo nome in luoghi insoliti come nei bottoni, nelle scollature, nelle armi, nei merletti e in molti altri dettagli della composizione.
A riprova della sua eccentricità ci ha inoltre lasciato un catalogo ragionato del suo lavoro, la “Nota delle pitture fatte da me Elisabetta Sirani”, un documento di notevole importanza per ricostruire con precisione il suo percorso artistico.
Nel 1994 le è stato dedicato un cratere sul pianeta Venere, a testimonianza di un rinnovato interesse per la sua figura di donna e la sua valenza di artista.