EGON SCHIELE FU UNO DEI GRANDI PROTAGONISTI DELLA VIENNA DI FINE SECOLO; CON LA SUA OPERA DIEDE VOCE ALLE NEVROSI DELL’UOMO MODERNO.
“Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco.” (Egon Schiele)
EGON SCHIELE, LE ORIGINI
Egon Leon Adolf Schiele nacque il 12 giugno 1890 in una stazione ferroviaria a Tulln an der Donau, cittadina nei pressi di Vienna, sestogenito del funzionario delle Ferrovie Imperiali Adolf e di Marie Soukup. Solitario ed introverso, il piccolo Egon trascorse la sua infanzia disegnando treni e locomotive.
Quando suo padre morì, nel 1905, venne affidato alle cure dello zio materno Leopold Czinaczek, il quale intuì ed assecondò il suo naturale talento artistico. Nel 1906 venne ammesso all’Accademia di Belle Arti di Vienna, ma vi rimase solo due anni a causa di una sua contestazione sui metodi didattici adottati.
Fondamentale nella sua formazione fu la conoscenza di Gustav Klimt, il profeta della Secessione viennese, da lui eletto a padre ideale e con il quale si misurerà durante tutta la sua carriera artistica. Da parte sua Klimt prese Schiele sotto la sua ala protettrice, introducendolo presso la ricca committenza borghese pronta a riconoscere il valore della sua opera.
EGON SCHIELE, LO STILE
Prematuramente segnato dalla morte del padre, invischiato in un rapporto ambiguo con la sorella più piccola Gertrud, sua prima modella e compagna di esplorazioni erotiche, Schiele sviluppò una personalità morbosa e nevrotica che si tradusse in un segno crudo ed espressivo.
Prendendo le mosse dall’opera di Klimt, Schiele elaborerà uno stile del tutto personale, stridente e contorto, adatto a rappresentare la complessità del suo tessuto emotivo.
L’elegante linea klimtiana fu distorta e stritolata, mentre la sua ossessione decorativa fu sostituita da un doloroso e lacerante vuoto compositivo. Il sogno estatico della Secessione si trasformò in un incubo: la belle époque ottocentesca volgeva nella malattia della modernità.
“Tutto ciò che sta vivendo è già morto.” (Egon Schiele)
EGON SCHIELE, I SOGGETTI
I temi prediletti da Schiele furono quelli mutuati dalla cultura del Simbolismo europeo – la donna, la natura, l’amore e la morte – ma declinati con un senso di angoscia fino ad allora sconosciuto.
Il sesso, pensiero dominante nella Vienna fin de siècle, fu visto nelle sue sfumature più negative: non energia creatrice ma potenza distruttiva. Le confuse pulsioni erotiche di Schiele si manifestarono in una grafica turbata e deformata, una mescolanza di pulsione e repulsione che svilisce il desiderio: è la malattia di un’epoca, la paura di essere dominati dagli istinti e la segreta bramosia di esserlo.
“Credo che l’uomo debba soffrire la tortura sessuale finché è capace di sentimenti sessuali.” (Egon Schiele)
Anche i suoi autoritratti sono la testimonianza delle ansie del tempo. Egli indagò la propria sofferenza, restituendoci l’immagine di un mondo dolente, preda degli spasi di un dolore universale. Le sue figure, amputate ed incompiute, sono isole disabitate: personaggi costretti in una realtà ostile ed incomprensibile.
Con la sua opera Egon Schiele diede voce alla frattura del Novecento, un secolo caratterizzato dalla caducità e dalla precarietà: corpi deformati e consunti, devastati dall’ansia e corrosi dalla paura.
“I corpi bruciano, essi consumano la propria luce vivendo.” (Egon Schiele)
EGON SCHIELE, L’EPILOGO
Nel 1918, nell’anno della grande mostra antologica della Secessione, Egon Schiele approdò alla sua piena maturità artistica, che segnò il culmine e la fine della sua breve carriera.
L’ultimo grande dipinto incompiuto, La famiglia (1918), sembra annunciare un destino imminente. Nel buio di una stanza sono riuniti i membri di una famiglia: un uomo, una donna e un bambino. L’atmosfera è tristemente rarefatta, sospesa nell’attesa di un tragico finale. Pesa sul dipinto la consapevolezza di una sconfitta, che è quella dell’uomo di fronte alla vita.
Il 28 ottobre 1918 Edith Harms, moglie di Egon Schiele, morì di spagnola. Aveva in grembo un figlio di sei mesi. Tre giorni dopo, il 31 ottobre, anche Egon Schiele si spense, consumato dalla febbre: ventotto anni, una vita fulminante e tortuosa come la sua arte.
“Il mio cammino conduce nell’abisso.” (Egon Schiele)
EGON SCHIELE, IL BIOPIC
Nel 2016 il regista austriaco Dieter Berner ha diretto un biopic sulla figura di Egon Schiele: Egon Schiele – Death and The Maiden. Il film ripercorre la storia dell’artista a partire dal 1909, fino al tragico epilogo finale.
Tra incursioni nella sua infanzia, immagini delle sue opere più note, digressioni sulle relazioni con il sesso femminile, ci viene restituito il ritratto di una delle personalità più brillanti e controverse della Vienna del primo Novecento.
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“L’arte non può essere moderna, l’arte è eterna.” (Egon Schiele)