OGGETTO DAI PIÙ DIVERSI SIGNIFICATI, LO SPECCHIO È STATO AMPIAMENTE UTILIZZATO DAI PITTORI, NON SOLO PER LA SUA VALENZA SIMBOLICA, MA ANCHE COME EFFICACE STRUMENTO ILLUSIONISTICO.

Soprattutto lo specchio si deve pigliare per maestro.” (Leonardo da Vinci)

 

LO SPECCHIO, LA GENESI DELL’ARTE

 

Specchi, giochi di luce e di ombre, sono da sempre gli elementi costitutivi di un’immagine. Secondo un antico mito, la genesi della pittura e della scultura è legata proprio ad una vicenda dove i riflessi giocano un ruolo di primo piano. Fu Plinio il Vecchio, nel XXXV libro della sua Naturalis Historia, a raccontarci come ebbero origine le due arti.

A Corinto viveva il vasaio Butade che aveva una figlia di nome Calliroe. La ragazza era innamorata di un giovane in procinto di partire per la guerra. Addolorata per l’imminente separazione, Calliroe escogitò un sistema per avere un ricordo del suo amato da tenere sempre con sé. La sera prima della partenza, alla luce di una lanterna, ella tracciò sul muro di casa il profilo del volto del ragazzo. Era nato il primo ritratto, frutto di un’astuzia carica di amore e di malinconia.

Il padre della ragazza, per dare maggiore solidità a questa rappresentazione, modellò un volto d’argilla seguendo le linee tratteggiate dalla figlia. Nasceva così anche la prima scultura.

 

Jean-Baptiste Regnault, L’origine della pittura, 1785
Jean-Baptiste Regnault, L’origine della pittura, 1785

 

[…] il vasaio Butade Sicionio scoprì per primo l’arte di modellare i ritratti in argilla; ciò avveniva a Corinto ed egli dovette la sua invenzione a sua figlia, innamorata di un giovane. Poiché quest’ultimo doveva partire per l’estero, essa tratteggiò con una linea l’ombra del suo volto proiettata sul muro dal lume di una lanterna; su quelle linee il padre impresse l’argilla riproducendone il volto; fattolo seccare con il resto del suo vasellame lo mise a cuocere in forno.” (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Libro XXXV)

In questo racconto viene esaltata la linea, ossia il disegno, come elemento fondante e comune alle due arti, associandole altresì ad un’ombra, secondo quella che era l’idea platonica dell’arte come riflesso della realtà, a sua volta un riflesso del mondo ideale. Nel celebre Mito della Caverna, contenuto nel Libro VII de La Repubblica, Platone enunciava i limiti della conoscenza umana incapace di giungere completamente alla verità, poiché essa è in grado di percepire solamente le ombre che essa proietta. L’arte è così doppiamente fallace, essendo l’ombra dell’ombra proiettata dalla verità delle cose.

Ecco che allora lo specchio si configura come immagine emblematica dell’arte intesa come inganno, ossia come effimera illusione di rappresentare la consistenza dell’esistente.

 

LO SPECCHIO, LA STORIA

 

Nella sua forma originaria, lo specchio è un fenomeno naturale. L’acqua è la superficie che consente di vedere il nostro riflesso, ed è stato forse così, guardandosi in uno stagno, che i nostri antenati sono stati sorpresi dalla loro immagine.

Varie leggende si sono diffuse in tutte le culture a tal proposito, basti qui ricordare il mito di Narciso, la cui struggente vicenda è stata immortalata da Ovidio nelle sue Metamorfosi.

 

Attribuito a Caravaggio, Narciso, 1597-1599
Attribuito a Caravaggio, Narciso, 1597-1599

 

I più antichi specchi, intesi come artefatti, sono difficili da datare; in Anatolia sono stati rinvenuti pezzi di ossidiana lucidi e riflettenti che risalgono addirittura al 6.000 a.C.

È noto che le grandi civiltà antiche utilizzavano dei piccoli specchietti in metallo. Erano oggetti molto costosi, considerati divini, ed utilizzati molto spesso nei rituali sacri. In primi specchi in vetro risalgono al Medioevo, ma fu solo nel Rinascimento che apparve lo specchio come lo conosciamo noi oggi.

E se è vero che l’invenzione dello specchio, come del vetro, non ebbe origine a Venezia, fu però a Venezia che l’arte dello specchio si sviluppò e crebbe come in nessun altro posto al mondo. Una tradizione artigianale di altissima qualità che, anche se in misura più ristretta, si è conservata attiva fino ai nostri giorni.

L’arte non è uno specchio su cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo.” (Bertolt Brecht)

 

LO SPECCHIO, SIMBOLOGIA E SIGNIFICATI

 

Gli specchi replicano la realtà, la duplicano invertendo destra e sinistra, restituendoci un mondo che sembra reale, ma che è invece ingannevole. E come duplice è l’essenza dello specchio, così è ambivalente la sua simbologia, in bilico tra valenze benigne e connotazioni negative.

Durante il Medioevo allo specchio erano attribuiti significati soprannaturali: si riteneva che esso avesse la capacità di trattenere l’anima di colui che vi si rifletteva. Questa è una delle ragioni per la quale le creature diaboliche non potevano riflettersi in uno specchio, essendo privi dell’anima.

Altre credenze popolari ritenevano che le superfici riflettenti fossero in grado di rendere visibile ciò che l’occhio umano non può vedere, possedendo dunque dei poteri divinatori. Una superstizione che è giunta fino a noi attraverso le fiabe, dove si trovano spesso specchi magici e parlanti, interrogati a più riprese da regine vanitose e crudeli.

Lo specchio è una protesi ottica che il cervello usa per interrogarsi e conoscersi.” (Michelangelo Pistoletto)

 

Hieronymus Bosch, Il Giardino delle delizie, dettaglio, 1480-1490
Hieronymus Bosch, Il Giardino delle delizie, dettaglio, 1480-1490

 

L’arte occidentale ha fatto largo uso dello specchio, sia per scopi pratici, come quello di amplificare la visione di una scena o per eseguire autoritratti, ma anche per motivi allegorici.

Lo specchio è stato quindi impiegato come attributo della luxuria (voluttà e vanità), ma anche come emblema delle virtù che presiedono alla conoscenza di sé stessi, ossia la veritas (verità) e la prudentia (prudenza). L’atto di specchiarsi può alimentare il narcisismo, se ci si ferma alle sole apparenze esteriori, ma può anche indurre alla ricerca di una bellezza interiore, suggerendoci di guardare oltre, dentro la profondità del nostro essere.

Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?), io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito.” (Jorge Luis Borges)

 

LO SPECCHIO NEL NOVECENTO

 

Una visione più moderna, che prese l’avvio con le avanguardie storiche ampliamente alimentate dalle teorie freudiane, individuò nel vedersi allo specchio un atto di autocoscienza, il momento chiave nel quale si genera l’identità del soggetto. L’Io che guarda si vede e, nel momento in cui si vede, scopre un’incongruenza tra l’immagine che lo specchio gli restituisce e ciò che crede di essere.

 

Dorothea Tanning, Lo specchio, 1950
Dorothea Tanning, Lo specchio, 1950

 

Lo specchio divenne così un elemento ambiguo, utile a creare una contrapposizione tra il reale e l’immaginario, l’esteriorità e l’interiorità, il vedere ed il comprendere. Una visione che ci riporta alla mente il mito di Narciso, così dilaniato dalla sua immagine al punto di perdere la vita: la malattia del vedere che attanaglia l’uomo contemporaneo, scisso tra l’aspirazione ad una perfetta armonia superiore e la realtà che, molto spesso, ad essa non corrisponde.

E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.” (Friedrich Nietzsche)