CON IL SUO STILE ORIGINALE E SOFISTICATO, IL PARMIGIANINO FU UNO TRA I PIÙ IMPORTANTI ARTEFICI DEL MANIERISMO ITALIANO.
“Il più squisito e raffinato dei manieristi è certo il Parmigianino.” (Matteo Marangoni)
PARMIGIANINO, LA FORMAZIONE
Girolamo Francesco Maria Mazzola, chiamato da tutti Parmigianino, nacque a Parma l’11 gennaio 1503 da Filippo, pittore di discreta fama, e da Donatella Abbati. Quando aveva circa due anni il padre morì di peste e, qualche tempo dopo, la madre decise di affidarne la formazione artistica agli zii paterni, Michele e Pier Ilario.
Il giovane rivelò subito un precoce talento, mettendosi in mostra per la straordinaria originalità inventiva. Ma era anche il suo aspetto ad affascinare i suoi contemporanei: dal fisico esile e dai lineamenti delicati, quasi femminei, Parmigianino si faceva notare per la sua grazia innata ed i suoi modi raffinati.
Cresciuto all’ombra del più maturo Correggio, molto attivo nella sua città natale, egli sradicò completamente i tradizionali canoni figurativi rinascimentali, inaugurando una nuova stagione della pittura. Figure slanciate, dai colli lunghi e dalle membra affusolate, furono i caratteri distintivi del suo stile; virtuosismi compositivi che sancivano un ideale più sofisticato del Bello, costantemente in bilico tra natura ed artificio.
“Il Parmigianino, oscillante tra le forme di Raffaello e del Correggio, ci si presenta come un grande virtuoso, un principe della moda, un esteta che giunge per sottili ragionamenti all’arte, piuttosto che un pittore nato, un pittore d’istinto quale fu il suo conterraneo Correggio.” (Adolfo Venturi)
PARMIGIANINO, IL SOGGIORNO A ROMA
Nel 1524, poco più che ventenne, Parmigianino si ritrasse in uno specchio convesso: un autoritratto insolito che denotava una vigorosa presa coscienza del suo ruolo di artista. Egli si rappresentò come un giovane dall’aspetto androgino, con l’espressione decisa, dall’abbigliamento elegante e ricercato.
I capelli li fece scendere oltre le orecchie, separati da una scriminatura; un evidente richiamo al caschetto di Raffaello del quale, in questo modo, si proclamava diretto successore. A quel tempo correvano delle voci secondo le quali, come il Vasari riferì nelle sue “Vite”, lo spirito di Raffaello sarebbe “passato nel corpo di Francesco, per vedersi quel giovane nell’arte e ne’ costumi gentile e grazioso come fu Raffaello.”
Il dipinto venne portato dal Parmigianino a Roma, durante il viaggio che compì nel 1525, un prezioso biglietto da visita per dare prova della sua abilità ed ottenere il favore di papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici.
Nell’Urbe, anche se non riuscì mai ad ottenere delle commissioni dal papa, si fece comunque notare dagli artisti e da altri committenti, entusiasti della sua pittura raffinata ed elegante, così eccentrica rispetto ai canoni della tradizione. Parmigianino si trovava ancora a Roma nel 1527, quando la città fu invasa dai lanzichenecchi, soldati mercenari al soldo di Carlo V.
Si racconta che quando i soldati fecero irruzione nel suo atelier, lo trovarono intento a terminare un dipinto e, colpiti dalla bellezza dell’opera, decisero di non distruggerla e di risparmiare anche la vita del pittore dietro il pagamento di un riscatto.
In seguito a questa traumatica esperienza, Parmigianino trovò riparo a Bologna, dove le monache del convento di Santa Margherita gli chiesero di realizzare un’opera che ritraesse la loro santa patrona. Nella città eseguì anche un dipinto per la basilica di San Petronio raffigurante San Rocco e il suo committente, un certo Fabrizio da Milano.
PARMIGIANINO, IL RITORNO A PARMA
Di ritorno a Parma, nel 1531 Parmigianino ottenne un contratto per decorare, con un ciclo di affreschi, la chiesa di Santa Maria della Steccata. Un incarico prestigioso, destinato a rivelarsi superiore alle sue forze.
Ossessionato dalla ricerca della perfezione in ogni minimo dettaglio, Parmigianino non riuscì a rispettare le scadenze pattuite, cosa che gli costò dapprima delle multe salate e alla fine la pena dell’incarceramento.
Parallelamente egli cominciò a sviluppare una forte passione per l’alchimia, tanto che – come riferisce Giorgio Vasari – si mormorava che avesse perso il senno dietro “ai ghiribizzi di congelare mercurio.” Questo fatto, unito all’incapacità di procedere con i lavori per la Steccata, fece precipitare l’artista in una sorta di nevrosi paranoica.
“[…] avesse voluto Dio ch’egli avesse seguitato gli studii della pittura e non fusee andato dietro ai ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l’aveva dotato la natura et il cielo, perciò che sarebbe stato sanza pari e veramente unico nella pittura; dove cercando di quello che non poté mai trovare, perdé il tempo, spregiò l’arte sue e fecesi danno nella propria vita e nel nome.” (Giorgio Vasari)
PARMIGIANINO, L’EPILOGO
Per sfuggire all’arresto, al quale era stato condannato per inadempienza contrattuale, nel 1540 Parmigianino trovò rifugio a Casalmaggiore, piccola cittadina in provincia di Cremona. Qui si ammalò di una “febbre grave”, che lo portò alla morte, avvenuta il 24 agosto 1540.
Incerta rimane la causa della sua precoce dipartita, da imputare probabilmente alla malaria o, secondo alcuni, ad un avvelenamento da mercurio, elemento largamente utilizzato nelle pratiche alchemiche.
Rispettando la sua volontà, fu sepolto nella chiesa dei frati Serviti, nei dintorni di Casalmaggiore, “nudo con una croce d’arcipresso sul petto in alto”, secondo l’uso francescano.
“[…] Francesco Mazzuoli parmigianino, il quale fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a un eccellente pittore sono richieste, poiché diede alle sue figure, oltre quello che si è detto di molti altri, una certa venustà, dolcezza e leggiadria nell’attitudini, che fu sua propria e particolare. Nelle teste parimente si vede che egli ebbe tutte quelle avvertenze che si dee, intanto che la sua maniera è stata da infiniti pittori imitata et osservata, per aver’egli dato nell’arte un lume di grazia tanto piacevole che saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno onorato.” (Giorgio Vasari)
AUTORITRATTO ENTRO UNO SPECCHIO CONVESSO
Uno dei dipinti più noti ed originali del Parmigianino è sicuramente il suo Autoritratto entro uno specchio convesso, oggi custodito presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
L’autore si ritrasse attraverso la visione distorta di uno specchio convesso. Un’immagine originale che doveva essere il suo lasciapassare presso la corte romana di papa Clemente VII.
L’opera colpisce, per quanto di modesto formato e di colori sobri, per la sua grande modernità di concezione. Lo specchio crea infatti un’ambiguità tra immagine reale ed immagine riflessa, dotando così il dipinto di una consistente pregnanza concettuale e semantica.
Lo specchio convesso assume inoltre una valenza magica, come se attraverso di esso l’artista volesse mettere a nudo la propria anima. Diffusa era all’epoca la credenza secondo la quale guardare qualcuno riflesso in uno specchio significava guardare nei recessi della sua interiorità. Parmigianino, donando quest’opera a papa Clemente VII, si pose quindi nelle mani del prelato, consegnandoli quanto di più prezioso egli aveva, la sua stessa anima.
Ma come ha fatto l’Autoritratto ad arrivare fino a Vienna? Dopo un po’ di anni Clemente VII donò il dipinto al letterato Pietro Aretino, nella cui abitazione il Vasari ebbe l’onore di vederla esposta. Venne poi ceduta allo scultore Valerio Belli e in seguito, tramite l’intercessione di Andrea Palladio, giunse a Venezia, ad arricchire la collezione privata dello scultore Alessandro Vittoria.
Fu infine lo stesso Vittoria a donare l’opera all’imperatore Rodolfo II, che la portò con sé a Praga nel 1608. Da questo momento Autoritratto entro uno specchio convesso entrò ufficialmente a far parte delle raccolte imperiali e successivamente fu trasferito a Vienna, prima esposto nella Schatzkammer e, dal 1777, presso Kunsthistorisches Museum, dove si trova ancora oggi.
“Da Parma, per via d’incisioni e di disegni, le eleganze del Parmigianino e le fluide sottigliezze delle sue forme forbite cominciavano a diffondersi e ad attrarre più che il tenero modellato delle correggesche. Era più facile sentire la calligrafia del Parmigianino che non l’ariosità del Correggio; e nell’Emilia prima, in Lombardia, nella Liguria, nel Veneto, per tutt’Italia poi, il raffinato maestro parmense dettò leggi alla moda pittorica. Parve che niuno potesse sottrarsi all’incanto di quel serpeggiar di linee, di quell’ondeggiare di corpi smilzi e snelli.” (Adolfo Venturi)