L’UROBORO, IL SERPENTE CHE SI MORDE LA CODA, RAPPRESENTA L’IMMORTALITÀ, L’ETERNO RITORNO E IL CONTINUO RIGENERARSI DELLA VITA.

L’uomo è il più crudele degli animali: ecco che io muoio e scompaio, diresti, e in un attimo sono un nulla. Le anime sono mortali come i corpi. Ma il nodo di cause, nel quale io sono intrecciato, torna di nuovo, esso mi creerà di nuovo! Io stesso appartengo alle cause dell’eterno ritorno. Io torno di nuovo, con questo sole, con questa terra, con quest’aquila, con questo serpente, non a nuova vita o a vita migliore o a una vita simile. Io torno eternamente a questa stessa identica vita.” (Friedrich Nietzsche)

 

L’UROBORO, L’ORIGINE E IL SIGNIFICATO

 

La più antica descrizione dell’uroboro è contenuta nei “Hieroglyphica” di Orapollo, un trattato sui geroglifici composto verso la fine del IV secolo d.C., quando la civiltà egiziana era oramai scomparsa e con essa la comprensione del suo sistema di scrittura.

Il testo fornisce un’interpretazione piuttosto fantasiosa, carica di suggestioni simbolico-ermetiche, di circa duecento geroglifici. Secondo l’autore gli egiziani “per indicare l’eternità usavano il sole e la luna: essi sono infatti elementi eterni. Quando volevano invece esprimere diversamente l’eternità, raffiguravano un serpente con la coda nascosta sotto il resto del corpo, chiamato ureo in egiziano, basilisco in greco …

 

Antonio Canova, Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria, dettaglio del ritratto con uroboro, 1798-1805
Antonio Canova, Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria, dettaglio del ritratto con uroboro, 1798-1805

 

L’uroboro trae origine dall’unione di due elementi, il cerchio ed il serpente: l’uno ritenuto immutabile e perfetto nel suo essere senza inizio e senza fine, l’altro considerato emblema di rinnovamento e rinascita per il suo continuo mutare della pelle. L’uroboro reca con sé l’idea di continuità, di autofecondazione e del tempo che si riproduce perpetuamente.

Dal mondo antico questo misterioso simbolo ha attraversato la storia dell’arte arricchendosi di ulteriori significati alchemici, esoterici e gnostici.

Che tutto ritorni, è l’estremo avvicinamento del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione.” (Friedrich Nietzsche)

 

L’UROBORO, LE RAPPRESENTAZIONI

 

Nella sua interpretazione più immediata, l’uroboro rappresenta il più grande desiderio dell’uomo, quello di essere immortale. La voglia di non scomparire, di vincere la morte, è ciò che spinge gli esseri umani alla creazione artistica, così da poter lasciare una traccia indelebile nella storia.

Un’opera d’arte per divenire immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica.” (Giorgio De Chirico)

L’uroboro trovò il suo impiego più immediato nei monumenti funebri dove, in molti casi, veniva associato ad altri simboli indicanti il passaggio di stato, come la farfalla o la sfera. Nel monumento funebre dedicato a Maria Cristina d’Austria lo scultore Antonio Canova circondò il ritratto marmoreo dell’arciduchessa con una cornice ad uroboro, come allusione all’eternità.

 

Piero di Cosimo, Ritratto di Simonetta Vespucci, dettaglio, 1480
Piero di Cosimo, Ritratto di Simonetta Vespucci, dettaglio, 1480

 

Una straordinaria rappresentazione pittorica dell’uroboro la troviamo nel Ritratto di Simonetta Vespucci, eseguito nel 1480 da Piero di Cosimo. Musa prediletta di Botticelli, amata in segreto da Giuliano de’ Medici, la donna era considerata la più bella della Firenze del tempo.

Nel dipinto la vediamo di profilo, il busto parzialmente avvolto da un tessuto che lascia scoperti i seni, e un serpentello attorcigliato al collo come una sorta di triste presagio.

L’opera venne realizzata qualche anno dopo la prematura morte della giovane e quel serpente, in nostro uroboro, indica la speranza di una rinascita, di un nuovo inizio che segue immancabilmente ad ogni fine.

L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!” (Friedrich Nietzsche)

 

John William Waterhouse, Il cerchio magico, 1886
John William Waterhouse, Il cerchio magico, 1886

 

Verso la fine dell’Ottocento John William Waterhouse, nel dipinto Il cerchio magico, avvolse con un uroboro la gola di una strega intenta in questo arcano rituale. In questo caso la singolare collana rappresenta il processo alchemico della raffinazione delle sostanze. Altri elementi che rimandano al mondo dell’occulto sono la falce a forma di luna impugnata dalla donna, il calderone, i corvi e i rospi in primo piano.

Potente simbolo della vita che si rinnova e si adatta, che muore e rinasce, l’uroboro indica anche la doppia natura dell’uomo, che si manifesta come dialettica o come conflitto, ma che è anche all’origine dell’attrazione fra gli opposti e fondamento della vita stessa.

Vedi, noi sappiamo ciò che tu insegni: che tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e che noi siamo stati già, eterne volte, e tutte le cose con noi.” (Friedrich Nietzsche)