PERSONAGGIO DELLA MITOLOGIA GRECA, ORFEO FU UNO DEI PRIMI GRANDI MUSICISTI DELLA STORIA; CON IL SUONO DELLA SUA LIRA AVEVA IL POTERE DI AMMANSIRE GLI ANIMALI ED INCANTARE IL CREATO, MA LUI AVEVA OCCHI SOLO PER UNA DONNA, EURIDICE.
Una storia d’amore romanticamente struggente fu quella che legò Orfeo ad Euridice, un inno all’amore eterno che non si arrende di fronte a nulla, nemmeno all’ineluttabilità della morte.
“Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefone nascondersi il volto, lo stesso tenebroso impassibile, Ade, pretendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla. […] Non si ama chi è morto.” (Cesare Pavese, “L’inconsolabile” da “Dialoghi con Leucò”, 1947)
ORFEO ED EURIDICE, IL MITO
Orfeo, figlio del re di Tracia Eagro e della musa Calliope (o di Apollo e Calliope, secondo un’altra tradizione), era venerato da ogni creatura vivente, ma il suo cuore batteva solamente per la ninfa Euridice, la sua sposa.
La loro unione fu messa alla prova da Aristeo che, rapito dalla bellezza della fanciulla, tentò di abusare di lei. Un giorno Euridice, mentre cercava di sfuggire alle molestie del pastore, si rifugiò in un bosco dove trovò la morte a causa del morso di una vipera.

Orfeo, disperato per la scomparsa dell’amata, decise di scendere nel regno dei morti dove, con la soavità della sua musica , riuscì a muovere a compassione Ade e Persefone che gli permisero di riportare Euridice alla vita terrena. Una sola condizione fu imposta ad Orfeo, ossia di non voltarsi a guardare Euridice durante il viaggio di ritorno. L’impazienza, il desiderio e la curiositas ebbero però la meglio: Orfeo si voltò a cercare il volto di Euridice, la quale sparì per sempre.
“Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d’essere troppo amata? Porse al marito l’estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e rimpiombò di nuovo nel luogo d’onde s’era mossa.” (Ovidio, “Le Metamorfosi”, X, 61-63)
ORFEO ED EURIDICE, IL SIGNIFICATO
L’impresa di Orfeo, unica nella sua eccezionalità, è un inno all’amore romantico, continuamente esposto al fallimento in quanto tensione verso una pienezza irraggiungibile. Non esiste arte capace di strappare Eros da Thanatos. Non è possibile sprofondare negli abissi della morte trascinando con sé la vita. La prova di Orfeo è impossibile, destinata a fallire sin dall’inizio.
Orfeo non ha creduto alle parole della divinità e si è voltato. Il peccato di Orfeo è quello di non aver prestato fede all’amore; voltandosi a guardare egli ha inteso oggettivare un sentimento al quale dobbiamo piegarci con il cuore, non con la ragione.

“Ma mentre io canto, ohimè chi m’assicura
c’ella mi segua? Ohimè, chi mi nasconde
de l’amate pupille il dolce lume? Forse d’invidia punte
le deità d’Averno
perch’io non sia qua giù felice e pieno
mi tolgono il mirarvi,
luci beate e liete,
che sol col guardo altrui bear potete?
Ma che temi, mio cuore?
Ciò che vieta Pluton, comanda Amore;
a nume più possente,
che vince uomini e dei,
ben ubbidir dovrei.”
(Claudio Monteverdi, “Orfeo”, 1607)
ORFEO ED EURIDICE, LE RAPPRESENTAZIONI
La triste vicenda di Orfeo ha ispirato pittori, scultori, letterati, musicisti e drammaturghi, affascinati principalmente del viaggio dell’anima, un tema che ha sempre attratto l’uomo, in ogni luogo e in ogni tempo. Numerose sono le rappresentazioni figurative giunte fino a noi, tese ad esaltare particolari aspetti della vicenda.
Pregevole testimonianza del rinascimento fiorentino è la decorazione per un cassone, realizzata nel 1480 da Jacopo del Sellaio. Il ciclo, costituito da tre pannelli, si snoda, come in un film attraverso i vari episodi del racconto: dalla prima immagine dove troviamo Orfeo che incanta gli animali con la sua lira, fino all’epilogo finale. L’opera è l’unica che mostri il trasporto agli Inferi di Euridice.
In matura età barocca, nel 1636, il fiammingo Pieter Paul Rubens si soffermò nel momento che precede il dramma: Orfeo tiene stretta la sua Euridice, mentre i Signori degli Inferi guardano gli amanti procedere nel loro viaggio di ritorno.

Antonio Canova scelse invece il momento topico, in cui Orfeo si volta e capisce di aver perso di nuovo la sua Euridice. Il gruppo scultoreo, composto tra 1773 e 1776, interpreta con levigata compostezza la disperazione di Orfeo ed il senso di impotenza di Euridice.
Un altro grande scultore si interrogò su questo soggetto, offrendoci una testimonianza di estremo pathos compositivo. Nel 1893 Rodin, con il suo stile fortemente moderno, raffigurò i due amanti stretti in un abbraccio: il volto di Euridice è rivolto verso l’alto, quello di Orfeo è coperto dalla mano sinistra ad esprimere una più profonda afflizione.
Gustave Moreau, incantato com’era dal mito in tutte le sue forme, ripropose più volte questa tematica nei suoi dipinti, immortalando momenti diversi della narrazione. Sono opere preziose ed eleganti, dove la mitologia diviene un pretesto per un raffinato esercizio stilistico.

In tempi più recenti Marc Chagall ha reso omaggio alla figura di Orfeo, nella decorazione della cupola dell’Opéra di Parigi. Qui Orfeo è la personificazione dell’Arte, la cui forza creativa è tale da arrivare a scuotere perfino il Regno dei Morti.
“Lassù nel mio dipinto ho voluto riflettere come un mazzo di fiori in uno specchio, i sogni e le creazioni di cantanti e musicisti, richiamare alla mente i movimenti del pubblico seduto sotto con tutti i suoi vestiti colorati, e onorare i grandi compositori di opere e balletti. Talvolta ciò che si ritiene inconcepibile diventa possibile, ciò che sembra strano diventa comprensibile. I nostri sogni segreti hanno solo sete d’amore.” (Marc Chagall)
