SAN SEBASTIANO È UNO DEI MARTIRI PIÙ POPOLARI DEL CRISTIANESIMO, ANCHE IN VIRTÙ DEL SUO RUOLO DI PROTETTORE CONTRO LA PESTE, UNA PIAGA RICORRENTE NEI TEMPI ANTICHI.
Ucciso durante la persecuzione dei cristiani da parte di Diocleziano nel III secolo d.C., il santo è comunemente raffigurato nudo, legato ad un albero o ad un palo, con il corpo attraversato da frecce accuminate.
LA RAPPRESENTAZIONE DI SAN SEBASTIANO
La fama di san Sebastiano è andata di pari passo con la sua rappresentazione, non solo ed esclusivamente pittorica. Cinema, teatro, musica, fotografia, letteratura hanno dato una loro interpretazione alla figura di questo soldato della Chiesa.
“Nel mondo classico c’era Apollo, un dio bello e solare. Ci si poteva immaginare qualcosa di simile nel mondo cristiano? No, ma poi a un certo punto arriva questo Apollo cristiano, che reagisce al martirio al punto da respingere senza scomporsi le frecce che dovrebbero trafiggerlo.” (Vittorio Sgarbi)

Sebastiano veniva generalmente raffigurato come un bellissimo cavaliere, nudo e con un leggero panneggio che ne cingeva i fianchi, esposto alla trafittura delle frecce, ma anche alla fustigazione, avendo egli subito un doppio martirio.
Nel Rinascimento la sua immagine si arricchì di un ideale estetico: il corpo nudo dell’uomo divenne emblema della perfezione e dell’integrità fisica. Il tema cristiano fu così utilizzato come un pretesto per raffigurare il nudo maschile.
Più che un martire cristiano, Sebastiano appariva come un eroe classico, proporzionato sui modelli della statuaria antica, dimentico dei dolori del martirio, ambiguamente sospeso tra tormento ed estasi: un fascino equivoco che rendeva la sua figura ancor più accattivante.
Con Winckelmann, che vedeva la bellezza ideale incarnata solamente nel nudo maschile, la sua figura si allontanò definitivamente dall’originario contenuto religioso per incarnare quella “nobile semplicità e quieta grandezza”, tipica dei capolavori greci: le idee pagane soverchiarono così del tutto la dimensione religiosa.
SAN SEBASTIANO E IL DECADENTISMO
Nel corso dei secoli san Sebastiano si avvicinò sempre più a quella bellezza apollinea, magistralmente descritta dal pederasta Gustav Aschenbach ne “La morte a Venezia” (1912) di Thomas Mann, una bellezza a cui si aggiunse un senso più torbidamente dionisiaco.
Secondo Aschenbach san Sebastiano era la personificazione “di una virilità intellettuale e giovanile che con fiero pudore stringe i denti e rimane salda e tranquilla mentre spade e lance le trafiggono il corpo”: la pura bellezza si unì così ad una dimensione sadomasochistica e sacrificale.
Questo estetismo tormentato e sofferto, dai risvolti morbosi ed omoerotici, sarà il leitmotiv di tutta la cultura decadente che fece del bel giovinetto trafitto a morte il manifesto di una sessualità più libera e volutamente ambigua.

“San Sebastiano” di Guido Reni (la versione oggi conservata ai Musei di Strada Nuova di Genova) era uno dei quadri prediletti da Oscar Wilde il quale, dopo essere uscito dal carcere di Reading, adottò lo pseudonimo di Sebastian Melmoth: Sebastian come omaggio al martire e Melmoth in ricordo del suo prozio materno autore del celebre “Melmoth the Wanderer”, l’uomo errante protagonista di vicende tenebrose. In questo caso san Sebastiano venne assunto da Wilde come manto sotto cui nascondere tutte le brutture dell’esperienza della prigionia: il bel giovine androgino come alter ego di un vecchio deluso e sfiancato.
In Italia la cultura decadente produsse “Le martyre de Saint Sébastien” (1911), dramma di Gabriele D’Annunzio musicato da Claude Debussy, il cui tema centrale è la voluttà del martirio: miti antichi e moderni, pagani e cristiani, rimescolati in un grande calderone votato all’esaltazione del bello.
Da paladino della Chiesa, eroico soldato a guardia del palazzo imperiale, san Sebastiano venne così ad avvicinarsi sempre di più a quell’idea di fascino volttuoso e provocatorio, dai contorni spiccatamente torbidi e volutamente controversi.
“Gloria! Sotto le nostre armature/fiammeggiate, o ferite!/Chi è colui che viene?/Il Giglio della Coorte/Il suo stelo più forte/Laudate il nome che porta:/Sebastiano!” (Gabriele D’annunzio, “Le martyre de Saint Sébastien”, 1911)
