IL TENNIS NARRA STORIE DI SFIDE E DI CAMPIONI, DI GRANDI VITTORIE E DI AMARE SCONFITTE, MA RACCONTA ANCHE IMPRESE DI MODA E DI TENDENZA.
I campi da tennis sono da sempre vetrine per vedere e per farsi vedere. Dall’Australian Open al Roland Garros, passando per Wimbledon e l’US Open, i terreni da gioco rappresentano formidabili passerelle dove look personalissimi fanno bella mostra di sè. Tranne per l’austero Wimbledon, dal total white imperante, tenute fantasiose ed eccentriche, talvolta ai limiti del buon gusto, si vedono sfilare di anno in anno.
La giacca impeccabile di Roger Federer, i pinocchietti con lo smanicato di Rafael Nadal, l’avveniristica tuta da sommozzatore di Serena Williams, il glamour impeccabile di Maria Sharapova, i completini disegnati dalla mamma di Camila Giorgi, l’esplosione di fantasie colorate di Grigor Dimitrov, e chi più ne ha più ne metta, in un tripudio di mirabolanti eccessi.
Ma come ci si vestiva alle origini di questo sport?
L’OPERA
Nei primi decenni del Novecento, con la codificazione del tennis moderno, gli outfit imposti ai giocatori erano molto rigidi.
Le donne indossavano abiti lunghi, corpetti di pizzo e grandi cappelli a tesa larga; per gli uomini erano previsti pantaloni lunghi e camicie a maniche lunghe, completati da un gilet: il tutto rigorosamente bianco.
Al “Whitney Museum of American Art” di New York City è conservata un’opera di Edward Hopper dal titolo “Tennis Players”, del 1916-1920.
In un verde prato due uomini sono impegnati in una partita di tennis. Molto probabilmente l’artista immortalò un momento di svago a Cape Cod, meta prediletta dei fine settimana della ricca borghesia bostoniana. Il giocatore in primo piano testimonia la mise austera imposta ai tennisti, anche se non professionisti: uniche concessioni le maniche della maglia arrotolate fin sopra il gomito e dei civettuoli calzini rossi.
Hopper, com’è nel suo gusto, ci offre un prezioso spaccato della vita americana del tempo, indagata con sguardo lucido e tagliente. Nessun orpello, nessun manierismo, ma solamente una fredda cronaca della realtà delle cose. L’essenzialità della composizione corrisponde al decoro formale del tennis, uno sport dove l’armonia interiore fa eco ad una compostezza dei gesti.
LA RIVOLUZIONE DI RENÉ LACOSTE
Pur avendo trascorso la maggior parte della sua vita negli Stati Uniti, Edward Hopper impresse una svolta significativa alla sua pittura in seguito ad un viaggio a Parigi nel 1910.
E se l’esempio degli artisti francesi fu di fondamentale importanza per la maturazione dell’americano, la terra rossa parigina vide compiersi la prima grande rivoluzione nella moda del tennis.
Nel 1933 René Lacoste, un grande talento della racchetta, fondò assieme all’amico Andrè Gillier l’azienda che, ancora oggi, porta il suo nome.
Geniale e ossessivo nel gioco, Lacoste si rese conto delle difficoltà che le maniche lunghe imponevano al movimento. Da qui l’idea di eliminarle definitivamente, creando la prima polo in jersey petit piqué con impresso un caratteristico coccodrillo.
Sfidando le convenzioni egli ribadì come non spettasse allo sportivo adattarsi al proprio abbigliamento, ma il contrario. La polo si diffuse molto rapidamente e, altrettanto rapidamente, altri giocatori introdussero innovazioni per la creazione di una tenuta moderna, leggera e confortevole.
Ma fino agli anni Quaranta assolutamente niente shorts, nè per gli uomini nè per le donne. Il primo uomo a scoprire le gambe fu Benny Austins, mentre le donne dovranno aspettare un altro decennio per liberarsi dall’impaccio dei gonnelloni. Dai lenti cambiamenti alle repentine mutazioni, si è giunti alle vistose esagerazioni dell’epoca contemporanea.
L’acquerello di Hopper, con la sua equilibrata compostezza, ci riporta ad un tempo passato, fatto di valori semplici e genuini dove a trionfare era l’eleganza di uno stile.