SUBLIME INTERPRETE DELLA RINASCENZA, VITTORE CARPACCIO RACCONTÒ I FASTI DELLA SERENISSIMA ALL’APICE DEL SUO SPLENDORE.

Carpaccio fa gruppo con i pittori delle storie, ma quello che negli altri resta cronaca, talvolta mirabilmente raccontata, in lui assume valore quasi di mito.” (Lamberto Vitali, “Carpaccio”, 1935)

 

VITTORE CARPACCIO, LE ORIGINI

 

Vittore Carpaccio, noto anche con il nome di Vittorio, nacque a Venezia attorno al 1465. Non possediamo molte notizie riguardo alla sua biografia. Sappiamo che era figlio di un certo Pietro, mercante di pelli. Pare che la famiglia fosse originaria dell’isola di Mazzorbo e che il ramo da cui discendeva si fosse trasferito a Venezia nel Trecento, presso la parrocchia di Sant’Angelo a Dorsoduro.

 

Vittore Carpaccio, Due dame, dettaglio, 1493-1495
Vittore Carpaccio, Due dame, dettaglio, 1493-1495

 

Il suo cognome era Scarpazza, o Scarpazo, mentre Carpaccio è l’italianizzazione delle forme latine Carpathius e Carpatio con cui firmava le sue opere. Aveva moglie e, molto probabilmente, un figlio. Anche la sua formazione artistica è avvolta nel mistero: un pittore comparso dal nulla nella scena artistica veneziana, quando aveva all’incirca venticinque anni. Una magia che prese forma nelle nebbie della laguna.

 

VITTORE CARPACCIO, LO STILE E L’OPERA

 

La prima opera datata del Carpaccio risale al 1490, si tratta dell’Arrivo dei pellegrini a Colonia, un episodio tratto dalle Storie di sant’Orsola. La cristiana Orsola, figlia del re di Bretagna, aveva accettato di andare sposa ad Ereo, principe pagano d’Inghilterra, a patto che questi si convertisse e si recasse con lei in pellegrinaggio a Roma. In questa tela Carpaccio rappresentò Orsola mentre tornava con papa Ciriaco alla sua città natale, dopo l’attuazione del voto.

Il dipinto fa parte di un ciclo realizzato, tra il 1490 ed il 1495, per la Scuola di Sant’Orsola, ed è costituito da nove grandi teleri. Questo lavoro decretò il successo di Carpaccio come narratore di historie ed inaugurò la sua carriera di pittore al servizio delle confraternite di devozione.

 

Vittore Carpaccio, Arrivo dei pellegrini a Colonia, dettaglio, 1490
Vittore Carpaccio, Arrivo dei pellegrini a Colonia, dettaglio, 1490

 

Il suo stile ricercato ed elegante, di raffinata ascendenza tardogotica, unito ad una grande attenzione per i particolari, anche i più minuti, contribuì a fare delle sue immagini una preziosa testimonianza del suo tempo. Veneziane sono le ambientazioni, veneziane le architetture, veneziani i personaggi che animano le sue scene, ma veneziana è soprattutto la luce, così brillante, avvolgente e cangiante, da lasciare senza fiato.

Il Miracolo della Croce a Rialto, eseguito tra il 1494 ed il 1495 per la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, è una testimonianza esemplare dell’evidenza descrittiva di Carpaccio: una pittura che chiede esclusivamente di essere guardata senza ricercarvi significati ulteriori. La storia si trova dinanzi a noi, nel fervore dalla vita che si svolge in questo scorcio della città; rispetto a questa ricchezza compositiva, l’episodio che dà il titolo all’opera diviene un elemento trascurabile, di secondo piano. L’evento prodigioso è infatti spostato al margine sinistro del quadro, privilegiando la rappresentazione della città, con le sue locande, le altane, le gondole, le barchette, i passanti occasionali, i mercanti, i gentiluomini e gli immancabili turchi.

 

Vittore Carpaccio, Miracolo della Croce a Rialto, 1494-1495
Vittore Carpaccio, Miracolo della Croce a Rialto, 1494-1495

 

L’occhio lucido dell’artista vede, assorbe e cattura lo spettatore all’interno dei sui quadri. Il segreto della sua arte si trova qui, nella sua capacità di elevare le cose comuni ad essenza metafisica. Non vi sono gerarchie, tutto nella sua pittura acquista una dimensione di assolutezza atemporale; come giustamente afferma Vittorio Sgarbi “ciò che egli ci mostra prima non c’era, ciò che conoscevamo lo vediamo ora in una nuova luce. La pittura rivela, oltre il vero; non imita, crea.”

Il suo lavoro, superficialmente tacciato di bizzarria inventiva, è in realtà carico di una nitidezza tale da renderlo fortemente moderno e prepotentemente espressivo: una visione razionale sublimata nella mistica della luce. Venezia sta tutta lì, sospesa tra acqua e cielo; una fantasia a portata di mano.

Ma Carpaccio non ama gli artifici, le cose soprannaturali: non può e non vuole materializzare una visione […] Ce n’è abbastanza di artificio nel reale che si vede: lo stupore è nelle cose […]” (Vittorio Sgarbi)

 

Vittore Carpaccio, Disputa di santo Stefano, 1514
Vittore Carpaccio, Disputa di santo Stefano, 1514