CARAVAGGIO CON LA SUA OPERA DIEDE NUOVA LINFA ALL’ARTE PITTORICA CHE, RAGGIUNTO IL SUO APICE NEL CORSO DEL RINASCIMENTO, ERA ANDATA CODIFICANDOSI IN SCHEMI DI MANIERA.
“Prendo in prestito dei corpi e degli oggetti, li dipingo per ricordare a me stesso la magia dell’equilibrio che regola l’universo tutto. In questa magia l’anima mia risuona dell’Unico Suono che mi riporta a Dio.” (Caravaggio)
CARAVAGGIO E LA RISCOPERTA DELLA NATURA
Michelangelo Merisi nacque a Milano nel 1571, probabilmente il 29 settembre, visto che l’atto di battesimo riporta la data 30 settembre 1571. Per lungo tempo lo si ritenne nativo di Caravaggio, piccolo comune del bergamasco, dal quale erano originari i suoi genitori.
Il suo apprendistato avvenne a Milano, presso la bottega di Simone Peterzano, un pittore di stampo manierista che si professava discepolo di Tiziano. Qui apprese la lezione dei grandi maestri, dimostrando già una sua peculiare attenzione verso il dato naturalistico e una spiccata sensibilità cromatico-luministica. Conclusa la sua formazione, il giovane Caravaggio partì alla volta di Roma, città che a quel tempo richiamava maestranze artistiche da tutta Italia.
In uno dei suoi primi dipinti romani, la Canestra di frutta, è già presente quella che sarà la cifra stilistica dell’artista maturo, ossia la ricerca della verità nelle cose, scevra da ogni compiacimento edonistico. La foglia secca, la mela bacata, le foglie ingiallite, sono tutti particolari che ci rivelano la natura nella sua dimensione imperfetta e caduca.
La grande rivoluzione operata da Caravaggio fu quella di ritornare a guardare il mondo per come appare, non mediato esclusivamente dal filtro dell’arte. Dopo l’apice raggiunto dalla pittura durante il Cinquecento, gli artisti si erano adagiati ad uno stile di maniera, convinti che il loro compito fosse quello di copiare i maestri che li avevano preceduti. Con Caravaggio tutto venne nuovamente messo in gioco e l’arte acquisì rinnovata forza creativa.
“Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose è uno che non tiene in gran conto le opere di alcun maestro, egli dice che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggianate – chiunque le abbia dipinte – se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi può essere di più buono o di meglio che seguire la natura e questa copiar dipingendo.” (Karel van Mander)
L’ARTE COME PROFESSIONE DI VITA
L’opera di Caravaggio suscitò non poche reazioni da parte dei suoi contemporanei, perfettamente divisi tra ammiratori entusiasti e feroci detrattori. Ciò che maggiormente indignava era quel crudo verismo che egli proferiva nei soggetti profani, ma anche nelle vicende religiose,
Il pubblico non era decisamente avvezzo alle sue madonne cenciose e ai suoi santi contadini, l’occhio comune era abituato a vedere la religione nella sua dimensione di estatica bellezza. Ma il grande genio di Caravaggio fu proprio questo: portare il miracolo nella vita di tutti i giorni e renderlo accessibile alle classi più disagiate. Il messaggio di Cristo è di tutti e per tutti. E in questo la sua pittura si mostrò in linea con il divino Verbo.
“C’è, dunque, nel realismo di Caravaggio, qualcosa di potentemente cristiano, e cioè la volontà di far trionfare, anche attraverso la violenza, un’immagine straordinaria di verità umana. Un’umanità che è già divina, e che l’artista – rinunciando all’iconografia del divino e conferendo anche a Cristo una dimensione umana – piega a farsi testimonianza dell’esistenza di Dio.” (Vittorio Sgarbi)
D’altro canto, la sua opera non può essere letta che in stretta relazione con le sue vicende biografiche: Caravaggio fu un umile che visse con gli umili. Anche quando raggiunse fama e notorietà, egli non smise mai di condurre un’esistenza al limite della legalità, sospesa tra il vizio e la perdizione.
E fu proprio a causa del suo carattere ribelle che, nel 1606, mentre si trovava all’apice della sua carriera, venne esiliato da Roma in seguito ad un delitto compiuto per un fallo di gioco. Da quel momento cominciò il suo girovagare alla ricerca di riparo e protezione fino al 18 luglio 1610, quando si spense a Porto Ercole. Ancora oggi la sua morte è avvolta nel mistero, si parlò di una “febbre maligna“, ma molte sono le questioni che ancora attendono delle risposte.
“Perché Caravaggio è così grande? Perché si stenta a credere che le sue idee siano state concepite quattro secoli fa. Tutto, nei suoi dipinti, dalla luce al taglio della composizione, fa pensare a un’arte che riconosciamo, a un calco di sensibilità ed esperienze che non sono quelle del Seicento ma quelle di ogni secolo in cui sia stato presente e centrale l’uomo; la si può chiamare pittura della realtà, e a questo deve la sua incessante attualità. Davanti a un quadro di Caravaggio è come se fossimo aggrediti dalla realtà, è come se la realtà ci venisse incontro e lui la riproducesse in maniera totalmente mimetica.” (Vittorio Sgarbi)