CARLO CRIVELLI RAPPRESENTÒ UNA FELICE ANOMALIA NEL PANORAMA DEL RINASCIMENTO ITALIANO. ERETICO RISPETTO AI CANONI ALLORA IN VOGA, INTERPRETÒ LE RAFFINATEZZE DEL GOTICO INTERNAZIONALE IN CHIAVE MODERNA.
“… una concezione ristretta del Rinascimento ha reso difficile di riconoscere in lui un grande e personale artista. “ (Lionello Venturi)
CARLO CRIVELLI, LE VICENDE BIOGRAFICHE
Carlo Crivelli, figlio di Jacopo, nacque a Venezia tra il 1430 ed il 1435. Si formò a Padova presso la bottega dello Squarcione, una delle scuole più importanti del tempo. Attorno allo Squarcione gravitavano personalità del calibro di Andrea Mantegna, Cosmè Tura, i fratelli Bellini, Gentile e Giovanni, Bartolomeo Vivarini, e molti altri, definiti dal Longhi “uno squadrone di desperados […] spericolati partigiani delle novità di Toscana.” Qui Crivelli apprese le novità del Rinascimento toscano, rivisitate in chiave “settentrionale”, ossia impreziosite da una spinta filologico-erudita, erede degli insegnamenti di Donatello.
Il 7 marzo 1457 Crivelli fu condannato a sei mesi di carcere e a duecento lire di multa “perché, innamorato di Tarsia, moglie del marinaio veneziano Francesco Cortese, la rapì dalla casa del fratello di Francesco e la tenne nascosta per molti mesi, avendo con lei rapporti carnali con disprezzo di Dio e dei sacri vincoli del matrimonio.” Questa vicenda fu probabilmente la causa dell’allontanamento del pittore da Venezia. Dopo un breve soggiorno a Zara, si stabilì nelle Marche, dove è documentato a partire dal 1468, anno in cui firmò il “Polittico di Massa Fermana”.
Le Marche furono la terra d’adozione di Crivelli, qui egli guadagnò fama ed onore. La sua pittura, così originale e fuori dal comune, fu molto apprezzata e venne scelta per celebrare gli accadimenti più importanti della vita pubblica.
Il 17 giugno 1478 l’artista acquistò un’abitazione ad Ascoli Piceno, nel sestiere di San Biagio, e nel 1490 fu nominato cavaliere dal principe Ferdinando di Capua, segno tangibile dell’onore riservatogli. Mancano notizie certe sulla data ed il luogo della morte, sopraggiunta dopo il 7 agosto 1494, data nella quale rilasciò quietanza per l’Incoronazione di Fabriano, ma prima del 3 settembre 1495, quando il fratello Vittore chiese di essere considerato suo erede.
Oltre alla moglie, Iolanda, Carlo Crivelli lasciò una figlia, Diana, e una figlia adottiva di nome Biasiola, ricordata nel suo testamento ma già morta nel giugno del 1511.
CARLO CRIVELLI, I TEMI E LO STILE
Trascurato volutamente dalla storiografia artistica ufficiale, Carlo Crivelli rappresentò un caso eclatante per i suoi contemporanei. Isolato e negletto dai più, Crivelli coltivò una pittura marginale, ma non periferica, eccentrica rispetto al gusto imperante.
Le licenze tardogotiche, l’eccessivo decorativismo, la squillante gamma cromatica, il segno tagliente, uniti ad una concezione conclusa dello spazio, contribuirono a fare del Crivelli un caso unico nel panorama della pittura italiana del Quattrocento. Egli seppe coniugare una visione moderna della forma con una sintassi antica, facendo così dialogare le rivoluzionarie conquiste rinascimentali con l’importante eredità del mondo tardo medioevale.
Nel corso della sua feconda carriera Crivelli dipinse esclusivamente soggetti sacri interpretati in chiave del tutto inusuale. La sua spregiudicata immaginazione fu in grado di trasformare monotoni temi religiosi in ricchi cataloghi di moda. Le sue madonne e le sue sante sono elegantissime; indossano tessuti damascati lavorati con pietre preziose, sfoggiano acconciature elaborate impreziosite da gioielli, esibiscono monili dalle fogge più ricercate, sono delle terrene dame di corte più che delle rappresentazioni mistiche.
La cultura figurativa del Crivelli non può prescindere dalla sua origine veneta e dal legame profondo che Venezia manteneva con l’Oriente, dove permanevano gli ultimi strascichi di un grandioso Impero. Ecco che allora la sua apparente difformità va considerata nell’ottica di un più ampio concetto di Rinascimento che, lungi dall’esaurirsi con la tradizione toscana, ha mantenuto caratteristiche proprie a seconda dei luoghi dove si è diffuso e degli artisti che lo hanno interpretato.
Quando Carlo Crivelli morì, al volgere del Quattrocento, Michelangelo aveva venticinque anni, Raffaello diciassette, Giorgione aveva da poco superato la ventina e Tiziano era un’adolescente: si stava scrivendo un nuovo capitolo della storia dell’arte e, in questo contesto, la posizione di Crivelli si dimostrò sempre più marginale. Bisognerà attendere l’Ottocento inoltrato, quando i mercanti del Nord Europa vennero in Italia a far incetta di capolavori, per una riscoperta dell’opera di Crivelli, con il tempo divenuta oggetto di una seria e ragionata considerazione critica.
“Com’è noto, la tendenza più moderna della storia dell’arte è rappresentata dalla trattazione dei periodi artistici, anziché delle individualità. Esso ha recato preziosi contributi e promette di svilupparsi favorevolmente. Ad una condizione, tuttavia: che giunga ad illuminare l’individuo, la sua libertà, il suo diritto di essere diverso da tutti, maestri e compagni. Altrimenti la nozione di cultura soffocherebbe la coscienza della creazione, e la comprensione dell’arte verrebbe meno. Il caso Crivelli è appunto significativo, perché una concezione ristretta del Rinascimento ha reso difficile di riconoscere in lui un grande e personale artista.” (Lionello Venturi)