SCRITTORE, POETA, , COMMEDIOGRAFO, SCENOGRAFO, GIORNALISTA E PATRIOTA, GABRIELE D’ANNUNZIO FU UN PERSONAGGIO EMBLEMATICO NELL’ITALIA DEI PRIMI DECENNI DEL NOVECENTO, ANCHE NEL SUO RUOLO DI PROMOTORE DELLE ARTI.

L’Arte! L’Arte! – Ecco l’Amante fedele, sempre giovine, immortale, ecco la Fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso Alimento che fa l’uomo simile a un dio. “ (Gabriele D’Annunzio, “Il Piacere”, 1889)

 

GABRIELE D’ANNUNZIO E GLI ARTISTI

 

Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da Francesco Paolo Rapagnetta, un signorotto di provincia, e da Luisa de Benedictis, proveniente da una delle famiglie più facoltose di Ortona. Terzo di cinque figli, Gabriele ereditò dalla madre la fine sensibilità, mentre dal padre l’animo passionale e l’amore per la vita dispendiosa.

Appena undicenne, nell’autunno del 1874, venne iscritto al regio collegio Cicognini di Prato, dove rimase fino al 1881, “distinguendosi fra gli alunni più volenterosi e disciplinati”. D’intelligenza fervida e vivace, nel 1879, con l’aiuto economico del padre, diede alle stampe la sua prima raccolta di poesie, “Primo Vere”.

Fin dalla sua giovinezza fu in stretti rapporti con il pittore Francesco Paolo Michetti. Entrambi abruzzesi, si influenzeranno a vicenda nel corso delle loro carriere: D’Annunzio spinse Michetti a liberarsi dal verismo più trito per affinare la sua arte, mentre Michetti cercò di mitigare l’eccessivo estetismo del Vate, influenzandolo con il suo realismo descrittivo.

 

Francesco Paolo Michetti, La processione del Corpus Domini a Chieti, dettaglio, 1877
Francesco Paolo Michetti, La processione del Corpus Domini a Chieti, dettaglio, 1877

 

Giunto a Roma nel 1881 come collaboratore del “Fanfulla della Domenica”, si avvicinò agli artisti riuniti attorno alla rivista il “Convito”, con i quali si sentiva molto affine dal punto di vista ideologico e culturale. Strinse amicizia con Giulio Aristide Sartorio, Adolfo De Carolis e Giuseppe Cellini, esponenti di primo piano del simbolismo italiano. Questi illustrarono molti dei suoi testi e collaborarono alla creazione di costumi e scenografie per le sue rappresentazioni teatrali.

Per D’Annunzio Arte e Vita erano l’espressione di un medesimo ideale: visse la sua vita come una grandiosa opera d’arte e l’arte plasmò di bellezza la sua vita.

L’arte per me è una malattia sacra, morbus sacer.” (Gabriele D’Annunzio)

 

GABRIELE D’ANNUNZIO E IL VITTORIALE

 

Dal 1921 fino alla fine dei suoi giorni, Gabriele D’Annunzio fu impegnato nella realizzazione di una delle sue più grandiose imprese: la ristrutturazione di Villa Cargnacco, sul lago di Garda. L’edificio, che prenderà ufficialmente il nome de il “Vittoriale” il 15 Maggio 1923, sarà la testimonianza imperitura della vita eroica del poeta.

Circondandosi delle maestranze più prestigiose, egli si impegnò nella ristrutturazione e nell’arredo della sua residenza, con l’intento preciso di conferirle un’impronta originale, in linea con il suo carattere “imaginifico”. Il gioielliere Mario Buccellati, lo scultore Renato Brozzi e l’architetto Giancarlo Maroni, furono tra i nomi più importanti attivi al “Vittoriale”.

L’atmosfera delle stanze fu costruita secondo lo stile Art Déco, allora in voga: vetrate dipinte, pesanti tendaggi di damasco alle finestre, tappeti antichi e luci soffuse. Diecimila oggetti, due terzi dei quali sarebbero disdegnati da un antiquario, e trentamila libri, molti dei quali validi soprattutto per la rilegatura, vennero poi ammassati, fino a saturare gli spazi. La sua insaziabilità di acquirente compulsivo, di gusto eclettico ed eccessivo, si rivelava in questa messa in scena dove – secondo le parole di Mario Praz – “le cose preziose vi risultano prigioniere come la mosca nell’ambra, come i mille fiori nel cristallo o il bastimento nella bottiglia verde.”

 

Interno del Vittoriale
Interno del Vittoriale

 

Fondamentalmente D’Annunzio non aveva una visione critica dell’arte, non la capiva fino in fondo (è noto che non intese ed anzi ignorò completamente gli impressionisti), per lui l’arte era solamente uno strumento per nobilitare sé stesso e ciò che lo circondava: una scenografia raffinata e preziosa dove mettere in atto una sublime esperienza esistenziale. Per questo eterno romantico, sempre alla ricerca di sensazioni al limite, solo la Bellezza poteva salvare l’umanità da un nulla al quale, del resto, non credeva.

Tutto è qui da me creato e trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile nel senso che voglio dare al mio stile. Il mio amore d’Italia, il mio culto delle memorie, la mia aspirazione all’eroismo, il mio presentimento della patria futura si è manifestato qui in ogni ricerca di linee, in ogni accordo o disaccordo di colori.” (Gabriele D’Annunzio)

Il 1 marzo 1938, alle ore 20.05, Gabriele D’Annunzio morì per emorragia cerebrale mentre era seduto al suo tavolo di lavoro. La sua memoria aleggia ancora nella sua stupefacente dimora. Oggi il Vittoriale degli Italiani è una Fondazione aperta al pubblico, una cittadella-museo dove poter vivere un un’esperienza unica, seguendo il motto del Sommo, ossia “fare della propria vita come si fa un’opera d’arte”.

Ecco che non più sono un grande artista ma divenuto io sono una grande opera d’arte.” (Gabriele D’Annunzio)