BURBERO E SPREZZANTE, ALTERO ED ESIGENTE, GUY BOURDIN FU IL PROTAGONISTA DI UNA VERA E PROPRIA RIVOLUZIONE NELLA FOTOGRAFIA DI MODA.
Di fronte a codici triti e stantii che esaltavano l’idea di una bellezza immacolata e superiore, Bourdin mostrò il lato più oscuro e sconcertante della realtà, fino ad allora rimosso dal tempio incontaminato del fashion.
“Sarebbe bello fotografare modelle morte a letto!” (Guy Bourdin)
GUY BOURDIN, LA STORIA
Nato a Parigi il 2 dicembre 1928, Guy Louis Banarès fu abbandonato dalla madre quando aveva poco più di un anno e fu adottato da Madame Désiré Bourdin.
L’allontanamento dalla madre e il suicidio delle sue fidanzate storiche caratterizzarono il rapporto di Bourdin con l’universo femminile, da sempre visto come un accessorio posto a corredo di una lucida architettura della realtà.
Un’idea che non lo abbandonerà mai. Come non l’abbondonerà mai quell’ideale di donna pesantemente truccata, con i capelli rossi e dalla pelle molto pallida: l’unico ricordo che il fotografo conservava di sua madre.
Modelle dai capelli fulvi ritratte in squallidi corridoi, isolate in silenziose stanze d’albergo o in paesaggi deserti. Donne senza vita di cui restano visibili le gambe, le scarpe con il tacco o le bocche dipinte.

GUY BOURDIN, L’OPERA
Estraneo all’esaltazione della perfezione fisica della donna, Guy Bourdin pose al centro dei suoi scatti una storia narrata con grande intensità emotiva e algido rigore formale. Una storia che non era quella dell’abito o del marchio reclamizzato, ma la sua storia, quella che lui voleva raccontare esaltando così la foto rispetto al prodotto: un ribaltamento epocale nell’ambito della fotografia commerciale.
Attentamente costruite e perfettamente definite, le immagini di Bourdin non sono statici momenti di una messa a fuoco, ma veri e propri fotogrammi di un film dove sesso, violenza, mistero e delirio si intrecciano con risultati stranianti e sconvolgenti.
Con Bourdin l’arte erompe prepotentemente nello spazio protetto della moda, riflettendo le fantasie intossicanti dell’autore.

Guy Boudin si distinse come fotografo commerciale atipico, non al servizio del prodotto, ma creatore di un personale immaginario onirico dove la rivista patinata costituiva un mero pretesto espressivo.
Allievo prediletto di Man Ray, ammiratore di René Magritte e di Luis Buñuel, Guy Bourdin fu fortemente influenzato dalla poetica surrealista nei suoi tratti onirici e negli accostamenti provocatori.
Bambole che si confondono con modelle manichino, panorami inquietanti, situazioni violente e ambigue: una messa in scena al limite tra l’assurdo ed il grottesco che richiede solamente di essere decifrata.
Con la sua opera Bourdin ha diretto il gran teatro della vita, restituendoci l’istantanea di una realtà contradditoria e perversa, conturbante e convulsiva, dove il concetto di desiderio rappresenta il motore più autentico delle azioni umane, l’elemento chiave di ogni esistenza.
Facendosi beffe della falsità della moda e del suo stile glamour, Bourdin ne ha esagerato l’artefatta finzione attraverso l’uso di colori saturi, superfici smaglianti e meticolosi giochi di luce: un’impalcatura magistrale in grado di spazzare via le convenzioni tradizionali del linguaggio pubblicitario.
Mai fuori moda perché non di moda, gli scatti di Bourdin, al pari di quelli di Helmut Newton o di Richard Avedon, si presentano fuori dal tempo e prepotentemente attuali: scatti autoreferenziali dove la moda è l’abito dietro cui si nasconde un’enunciazione di poetica estetica.
Meticoloso artigiano dell’obiettivo, Bourdin non lasciava nulla al caso; come un artista del pennello egli costruiva i suoi set con disegni preparatori, attento fino all’ossessione ad ogni minimo dettaglio.
Considerato uno dei più grandi fotografi di moda di tutti i tempi, Guy Bourdin ha rimodellato il linguaggio commerciale con una narrazione audace arricchita da una vibrante tavolozza di colori, in un perfetto connubio di erotismo visionario ed ineguagliabile rigore formale.
Guy Bourdin si spense a Parigi il 29 marzo 1991.
Restio alle autocelebrazioni Guy Bourdin non collezionò le sue opere e non fece nulla per conservarle. Rifiutò di fare delle mostre e delle pubblicazioni, dopo la sua morte voleva che le sue opere fossero distrutte.
Il primo libro celebrativo su di lui fu “Exhibit A“, pubblicato dieci anni dopo la sua morte.