“IL GRANDE VETRO” È L’OPUS ALCHEMICA PER ECCELLENZA, LA CREAZIONE DI UNA VITA ALLA QUALE MARCEL DUCHAMP SI DEDICÒ PER CIRCA OTTO ANNI, SENZA MAI VERAMENTE PORTARLA A TERMINE.

Nota anche con il nome di “La sposa messa a nudo dai suoi scapoli”, non la si può definire propriamente un’opera pittorica, ma una grande “macchina” dotata di una sua propria autoreferenzialità dove la poetica dell’assurdo si coniuga con dotte simbologie alchemiche.

 

LA TRADIZIONE ALCHEMICA NELL’ARTE MODERNA

 

Nel Ventesimo secolo, con la nascita delle avanguardie storiche, l’antica tradizione figurativa alchemica continuò a serpeggiare nel mondo dell’arte come bagaglio culturale denso di suggestioni ed evocazioni immaginarie.

In questi anni, a dare nuovo vigore all’impianto ermetico, si aggiunse la psicoanalisi che, soprattutto per mezzo degli studi junghiani sugli archetipi, offrì una veste moderna alle figure dell’alchimia. Furono in particolare i surrealisti a reinterpretare i topoi alchemici: il gusto per il criptico trovava piena rispondenza nelle provocazioni oniriche del movimento.

 

Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., 1919
Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., 1919, ready-made.

 

André Breton, torico del surrealismo, nel secondo manifesto del gruppo, dichiarò di voler assumere a modello la Sapienza alchemica per occultare la Verità agli occhi del profano.

L’approvazione del pubblico è da fuggire più di ogni altra cosa. Bisogna assolutamente impedire al pubblico d’entrare se si vuole evitare la confusione.

Aggiungo che bisogna tenerlo esasperato alla porta con un sistema di sfide e provocazioni.” (André Breton, “Secondo Manifesto del Surrealismo”, 1929)

Per mezzo di un linguaggio misterioso ed enigmatico, l’arte del Novecento nascondeva, in molti casi, un sapere ermetico a disposizione di pochi “illuminati”.

 

IL GRANDE VETRO, ANALISI DELL’OPERA

 

Il “Grande Vetro” costituisce un esempio mirabile di opus alchemica, alla quale Marcel Duchamp si dedicò per circa otto anni, dal 1915 al 1923.

Il “quadro”, formato da due lastre di vetro che racchiudono lamine di metallo dipinto, polvere e fili di piombo, è una sorta di work in progress dove analogie, allusioni e riferimenti si sono stratificati fino a renderlo un astruso rompicapo. Poche e poco chiare sono le indicazioni in nostro possesso.

 

Marcel Duchamp, Il Grande Vetro, 1915-1923
Marcel Duchamp, Il Grande Vetro, 1915-1923

 

Già il titolo originale ci pone in confusione: “La mariée mise à nu par ses célibataires, même”, che letteralmente significa “La sposa messa a nudo dai suoi scapoli”. Sembra più corretto interpretare questa frase secondo il principio delle doppie letture omofone, metodo utilizzato spesso da Duchamp.

In questo modo la frase risulterebbe: “La Marie est mise à nue par ses céli-batteurs”, ossia “Maria è messa nella nuvola dai propri trebbiatori celesti o celitrebbiatori”.

L’utilizzo di questo tipo di linguaggio la dice lunga sulla grande cultura dell’autore che, lungi dal voler esclusivamente scandalizzare il pubblico, poneva le sue creazioni al servizio di un’idea. La Maria portata in cielo da una nuvola alluderebbe alla Vergine Assunta, dedotta dalle tradizionali riproduzioni dell’Assunzione.

A comprova di questa interpretazione la suddivisione in due parti del vetro: la parte celeste, dove una nuvola con tre quadrati è pronta ad accogliere Maria, e la parte terrestre, dove un parallelepipedo richiama l’iconografia del sarcofago vuoto delle Assunzioni. Ed infine a che cosa potrebbero riferirsi i céli-batteurs, ossia i trebbiatori celesti? Probabilmente essi richiamano la stessa definizione che Duchamp diede alla sua opera come “macchina agricola” e come “macchina a vapore” con la “base in muratura” (en maconneire, termine che allude alla muratura, ma anche alla massoneria).

Nelle terminologia alchemica la trebbiatura (celeste perché l’alchimia è agricoltura celeste), l’assunzione al cielo della Vergine incoronata dalla Trinità e il denudamento della sposa sono tutte metafore che si riferiscono alla purificazione della materia e alla sua trasformazione nella pietra filosofale; l’intera opera può dunque essere letta come una grande metafora alchemica.

Ma al di là ed oltre tutte le letture possibili, più o meno pertinenti e criticamente motivate, ritengo che l’essenza del “Grande Vetro” risieda proprio nella sua ineffabilità, nella capacità di porre sempre nuovi quesiti: uno specchio magico che varia continuamente di significato.

 

Marcel Duchamp, Il Grande Vetro, 1915-1923, dettaglio della parte inferiore
Marcel Duchamp, Il Grande Vetro, 1915-1923, dettaglio della parte inferiore

 

A me interessavano le idee, non soltanto i prodotti visivi. Volevo riportare la pittura al servizio della mente […] Di fatto fino a cento anni fa tutta la pittura era stata letteraria o religiosa: era stata tutta al servizio della mente. Durante il secolo scorso questa caratteristica si era persa poco a poco. Quanto più fascino sensuale offriva un quadro – quanto più era animale – tanto più era apprezzato.

La pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva; dovrebbe aver a che fare con la materia grigia della nostra comprensione invece di essere puramente visiva […] Gli ultimi cento anni sono stati retinici. Sono stati retinici perfino i cubisti. I surrealisti hanno tentato di liberarsi da questo e anche i dadaisti, da principio. […] Io ero talmente conscio dell’aspetto retinico della pittura che, personalmente, volevo trovare un altro filone da esplorare.” (Marcel Duchamp)

 

MARCEL DUCHAMP, CENNI BIOGRAFICI

 

Henri-Robert-Marcel Duchamp nacque a Blainville, nella Francia settentrionale, il 28 luglio 1887. Nel 1904 raggiunse a Parigi i fratelli, entrambi artisti, Jacques (Villon) e Raymond (Duchamp-Villon) frequentando i corsi di pittura all’ Académie Julian che abbandonerà quasi subito. Tra il 1906 al 1910 produsse una serie di opere variamente influenzate dalla moda del momento: Manet, l’intimismo di Bonnard ed il Fauvismo.

Nel 1911 e 1912 si collocano le sue opere pittoriche più importanti come il “Nudo che scende le scale”, esposto nella “La Section d’Or” del 1912. Verso il 1913 abbandonò definitivamente la pittura e il disegno tradizionali; di qui in avanti si dedicò completamente a forme d’arte sperimentale, elaborando anche i primi “ready-made” (oggetti d’uso comune a volte modificati e presentati come opere d’arte), tra cui la celebre “Ruota di bicicletta”.

 

Julian Wasser, Ritratto di Marcel Duchamp con la sua “Ruota di bicletta”, 1963

 

Le sue idee innovative e radicali anticiparono la nascita del movimento Dada, che avvenne a Zurigo nel 1916. Dopo un soggiorno a New York e a Buenos Aires, nel 1919 ritornò a Parigi dove si legò alla locale corrente Dada. Di nuovo a New York nel 1920, fondò con Man Ray la “Society of Indipendent Artists” e ideò Rrose Sélavy, il suo alter ego femminile.

Nel 1923 si dedicò professionalmente al gioco degli scacchi, tralasciando sempre di più il suo impegno nell’arte. Nel 1942 si stabilì definitivamente a New York divenendo cittadino statunitense nel 1955.

Gli ultimi anni della sua vita lo videro impegnato nella realizzazione di un grande assemblaggio “Etant donnés: 1. la chute d’eau 2. le gaz d’éclairage”. Il 2 ottobre 1968 morì a Neully-sur-Seine, nei pressi di Parigi.