LA PORTA MAGICA È L’UNICA TESTIMONIANZA ANCORA ESISTENTE DI QUELLA CHE FU VILLA PALOMBARA, LA MISTERIOSA RESIDENZA DI MASSIMILIAMO PALOMBARA, MARCHESE DI PIETRAFORTE.

Città antichissima, ricca di miti e di leggende, Roma è uno scrigno inesauribile di tesori tuti da scoprire. Quella che voglio raccontarvi è la storia di un curioso manufatto, situato nell’odierna Piazza Vittorio Emanuele II. Si tratta della Porta Magica, ultima vestigia rimasta di una villa seicentesca. La porta, nota anche come Porta Alchemica, venne preservata dalla distruzione e posta nel giardino della piazza.

Ma per quale motivo fu conservata una sola porta dell’antica dimora? Forse perché quella porta potrebbe essere davvero magica.

 

INTRODUZIONE AL LINGUAGGIO ALCHEMICO

 

Si compiacquero gli antichi Filosofi ragguagliarci o confusamente, o sotto la corteccia di favolose Poesie, ed oscurissime Enimme la lor’ opinione sopra il Magistero Alchemico.” (Giacinto Grimaldi, “Dell’Alchimia”, 1645)

La scienza alchemica, nella sua evoluzione storica, ha fatto sovente uso di immagini per tramandare l’insegnamento dottrinario, anche con lo scopo di far meglio comprendere tale insegnamento. Per sua natura il linguaggio alchemico non è chiaro e comprensibile, ma si avvale di oscure metafore e di simboli arcani, alla portata di pochi iniziati. La segretezza è il carattere distintivo dell’alchimia e del suo lessico.

 

Giulio Romano, Allegoria dell'immortalità, dettaglio, 1520
Giulio Romano, Allegoria dell’immortalità, dettaglio, 1520

 

Il vocabolario alchemico è il frutto della stratificazione delle più diverse fonti iconografiche, estrapolate ed utilizzate per questo particolare scopo: dai cicli figurativi presenti nei codici tardo-medievali ai trattati egizio-ellenistici, introdotti in Europa dai dotti bizantini nel XV secolo, dai testi neoplatonici arabi, tradotti in Spagna nel XII secolo, ai libri di emblemi e di imprese diffusi tra il XVII ed il XVIII secolo.

Nel Seicento ci troviamo di fronte ad un frasario alchemico assai complesso, frutto di tutti questi apporti culturali. Risalgono infatti a questo secolo i due pilastri dell’iconografia alchemica, intesi a dare forma e rigore ad un composito amalgama figurativo: l’Atalanta Fugiens di Michael Maier (1617) e il Viridarium Chymicum di Daniel Stolcius (1624). In questo modo gli artisti furono in grado di attingere anche alla simbologia alchemica, avendo così a disposizione una variegata quantità di rappresentazioni a carattere mitologico, emblematico e geroglifico.

 

LA PORTA MAGICA, LA STORIA

 

La Porta Magica costituisce un mirabile esempio di commistione tra arte, iconologia e pratiche occulte. Fatta erigere dal marchese di Pietraforte Massimiliano Savelli Palombara, tra il 1677 ed il 1680, come ingresso secondario della sua villa sull’Esquilino, essa rappresenta il segno architettonico del Magistero alchemico.

Ma chi era il marchese Palombara e qual è la storia di questa porta?

Nato a Roma il 14 dicembre 1614 da Oddo V marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli, Massimiliano apparteneva a un ramo cadetto della famiglia Savelli, tra le più antiche e nobili di Roma. Dopo una giovinezza alquanto avventurosa, si dedicò allo studio delle arti, delle lettere e delle scienze occulte, interesse quest’ultimo condiviso da molti altri aristocratici del tempo.

Nella sua residenza romana aveva allestito un laboratorio dove praticava i suoi esperimenti, molto spesso coadiuvato da personaggi illustri. Erano habitué di villa Palombare la regina Cristina di Svezia, che dopo aver abdicato al trono giunse a Roma dove rimase fino alla sua morte, l’erudito gesuita Athanasius Kirchner, ritenuto il padre dell’egittologia, l’astronomo Giovanni Cassini ed il medico esoterico Giuseppe Francesco Borri. E proprio al nome di Borri è legata la vicenda che alimentò il mito della Porta Alchemica.

 

Louis Dumesnil, Cartesio alla corte di Cristina di Svezia, dettaglio, 1653
Louis Dumesnil, Cartesio alla corte di Cristina di Svezia, dettaglio, 1653

 

Si narra che una notte un pellegrino – sotto le cui spoglie si celava il nostro Borri – si sarebbe presentato a villa Palombara, alla ricerca di una pianta capace di trasformare il metallo in oro. Trovata la pianta nel giardino, l’ignoto personaggio trascorse l’intera notte nel laboratorio del marchese.

La mattina successiva l’uomo sparì nel nulla, lasciando come traccia del suo passaggio alcune scaglie d’oro ed un manoscritto con dei simboli magici, probabilmente la ricetta per trasformare il metallo in oro. In ricordo di questo avvenimento il Palombara avrebbe fatto incidere i segni contenuti nel testo sulle mura della villa e attorno alla porta dell’entrata secondaria, nella speranza che qualcuno, prima o poi, riuscisse ad interpretarli. Molto più probabilmente furono Borri ed il marchese a volere la realizzazione di quella porta con l’incisione di quei particolari caratteri.

 

Giovanni Stradano, Il laboratorio dell'alchimista, dettaglio, 1580
Giovanni Stradano, Il laboratorio dell’alchimista, dettaglio, 1580

 

L’alone di mistero che sprigiona da questo fatto e dalla figura di Francesco Borri è comunque innegabile. Imprigionato in carcere nel 1691 con l’accusa di eresia, il Borri trascorse gli ultimi anni della sua vita nella prigione di Castel Sant’Angelo, dove si spense il 16 agosto del 1695. Alcuni sostengono però che egli sia ricomparso alcuni anni dopo.

Nel 1712 nacque il conte di Saint Germain, avventuriero ed alchimista, inventore dell’elisir di lunga vita e dotato della capacità sparire e ricomparire in più luoghi contemporaneamente. Molti sostennero che il conte fosse l’incarnazione del Borri, data la somiglianza fisica e l’aurea magica che aleggiava su entrambi. Anche questa storia, come quella della Porta Magica, fa parte di un contesto culturale ben preciso, fatto di scienza e di superstizione, di fede e di eresia, dove i processi di stregoneria erano all’ordine del giorno, come lo erano le ricerche erudite, volte a conquistare gli arcani segreti della Natura.

Sul finire dell’Ottocento, con il trasferimento della capitale d’Italia da Firenze a Roma, villa Palombara venne rasa al suolo per fare spazio a Piazza Vittorio Emanuele II. Nel centro del giardino della piazza, fu collocata la Porta Magica e le vennero poste a fianco due statue raffiguranti Bes, divinità egizia.

Oggi la nostra porta, sradicata dal suo contesto originario e soggetta all’incuria del tempo, permane come unica traccia di un racconto molto più affascinante e complesso. Il segno tangibile delle oscure chimere di un tempo lontano.

 

La Porta Magica di Roma oggi con a fianco le due sculture di Bes
La Porta Magica di Roma oggi con a fianco le due sculture di Bes

 

Ma l’uso della Medicina Cattolico Cabalistica ci affranca molto meglio da tutte le fastidiose necessità alle quali la Natura asservisce gli ignoranti. Mangiamo solo quando ne abbiamo voglia, e poiché tutta la parte superflua delle carni svanisce per insensibile traspirazione, non ci vergogniamo mai di essere uomini.” ( “Chiave del Gabinetto del Cavagliere Giuseppe Francesco Borri Milanese”, opera apocrifa di anonimo apparsa nel 1681)