TRA LA FINE DELL’OTTOCENTO E GLI INIZI DEL NOVECENTO VIENNA DIVENNE LA CAPITALE DELLA MODERNITÀ: UNA VENTATA DI RINNOVAMENTO SPIRAVA IN OGNI CAMPO.
La strada prescelta per aprirsi al “nuovo” seguiva le tracce di un ideale estetico ottocentesco: la gesamtkunstwerk (l’opera d’arte totale), ossia la convergenza di diversi generi artistici nell’unitarietà di tempo e di spazio.
LA PRIMA ESPOSIZIONE DELLA SECESSIONE
Nel 1898, alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe, fu inaugurata a Vienna la prima mostra della Secessione con l’intenzione – come riferiva Gustav Klimt in una sua lettera – “di portare la vita artistica viennese in un rapporto vitale con l’evoluzione dell’arte estera e proporre delle esposizioni dal puro carattere artistico libere dalle esigenze di mercato.”
Si trattava di un gruppo di artisti ed architetti, provenienti dalle esperienze più disparate, accomunati dalla volontà di reagire alla tradizione e ai biechi localismi per aprirsi alle tendenze artistiche più all’avanguardia.
Il modello “consortile” dell’associazione e il nome di derivazione romana, secessio plebis, traevano origine dalla Secessione di Monaco, fondata nel 1892 da Franz von Stuck con le medesime finalità. Il primo presidente fu un pittore già affermato, all’epoca trentacinquenne, che si apprestava a dare una svolta fondamentale alla sua carriera: Gustav Klimt.

L’arte si appropriava del proprio tempo, ribadendo con forza una nuova coscienza dell’uomo e del suo rapporto con il mondo.
“Non solo i massimi scrittori della capitale asburgica, ma altresì i suoi pittori, i suoi psicologi, perfino i suoi storici dell’arte apparivano dominati dal problema della natura dell’individuale in una società avviata alla disintegrazione.” (Carl Schorske, “Fin-de-siècle Vienna”, 1979)
GLI INTENTI DELLA SECESSIONE, NUDA VERITAS
Gli intenti programmatici della Secessione vennero mirabilmete espressi per mezzo di una litografia di Gustav Klimt, “Nuda Veritas“, pubblicata nel 1898 su “Ver Sacrum”, la rivista del movimento.
Una figura femminile, protagonista assoluta della rappresentazione, si mostra in tutta la sua nudità puntando uno specchio verso lo spettatore: è l’arte intenzionata, rubando le parole all’architetto Otto Wagner, a “mostrare all’uomo moderno il suo vero volto”. In alto, sopra le testa della donna, un’iscrizione recita: “Verità è fuoco, e dire verità significa illuminare e bruciare”, citazione dello scrittore tedesco Leopold Schefer.
Un anno dopo, nel 1899, il medesimo soggetto venne utilizzato da Klimt per realizzare un dipinto ad olio. La scritta originaria dell’incisione venne sostituita con una frase di Schiller: “Se non puoi piacere a molti con le tue azioni e la tua arte, piaci a pochi. Piacere a molti è male.” Ma non era questa l’unica differenza, anche la donna si presentava molto diversa. Nel quadro il nudo femminile si fece più seducente e conturbante: la chioma fulva, i fiori nei capelli, la presenza di un serpente ai suoi piedi, conferirono alla figura un fascino pericoloso ed inquietante.

“Al tempo la sua arte, all’arte la sua modernità”, fu il motto scelto dai secessionisti che si scagliarono contro la pittura di storia e contro l’architettura eclettica e revivalistica imperante, affermando la necessità di verità e di autenticità nell’espressione artistica.
Lo stile della Secessione si definì attraverso l’opera delle sue personalità più influenti, primo fra tutti Gustav Klimt, seguito dai pittori Moser, Moll, Kurzweil, Roller e dagli architetti Hoffmann, Wagner, Olbrich.
IL PALAZZO DELLA SECESSIONE
Nel novembre del 1898, per la seconda mostra del gruppo, fu inaugurato il “Palazzo della Secessione” progettato da Joseph Maria Olbrich come padiglione espositivo.
L’edificio era l’espressione di un nuovo linguaggio architettonico e ribadiva il culto del valore estetico dell’arte.
“Solo come fenomeno estetico l’esserci del mondo è legittimo”, scriveva Nietzsche in “La nascita della tragedia” (1872), pensiero cardine della cultura secessionista.
Gustav Klimt fu attivamente coinvolto nella progettazione dell’edificio di Olbrich, la cui novità consisteva nella concezione di uno spazio interno neutro e liberamente trasformabile per le varie esposizioni: non si trattava più di appendere dei quadri alle pareti ma di trasformare di volta in volta lo spazio in funzione delle opere esposte, creando così un ambiente totale, unitario ed adeguato alle singole mostre. In questo modo l’intenzione era quella di pervenire a una sorta di omogeneità tra opere esposte, arredi ed elementi decorativi in nome della creazione di un’opera d’arte totale e totalizzante.

Tra il 1898 ed il 1905 la Secessione organizzò ben 22 mostre sollecitando una politica di acquisti da parte delle istituzioni e stimolando l’impegno pubblico nei confronti dell’arte contemporanea.
Nel 1900, durante la sesta vernice del gruppo, fu celebrata l’arte grafica giapponese, sancendo l’importanza di quest’ultima nello sviluppo in senso moderno dell’arte europea.
Lo stile che si affermò a Vienna in quel periodo risentì, infatti, dell’influenza del linearismo della grafica orientale: un linguaggio figurativo bidimensionale volto a raccordare forme organiche e geometriche nella creazione di un ritmo decorativo e ornamentale.
Nel 1903 la Secessione è al suo culmine e forte è anche il sostegno dato dal governo: ai suoi artisti non solo vennero affidate le commissioni pubbliche più importanti, ma furono anche coinvoilti nella realizzazione della grafica per la valuta e i francobolli del paese.
L’ARTIGIANATO ARTISTICO, L’ESEMPIO DELLA WIENER WERKSTÄTTE
Nel 1903 venne fondata la Wiener Werkstätte, un’innovativa unità di produzione che, sulla scia delle Arts and Crafts inglesi, intendeva coniugare l’artigianato con l’arte rinnovando gli oggetti d’uso comune.
Il desiderio era quello di spogliare le case borghesi dalle paccottiglie di pessimo gusto di cui erano infestate per creare un interno più consono ed adeguato al rinnovamento architettonico che già aveva coinvolto le facciate degli edifici.
Anche in questo caso, come per il progetto delle Arts and Crafts promosso da William Morris, all’incitamento ideologico di “un’arte per tutti” si concretizzò, nei fatti, una produzione elitaria e costosa.
Nonostante il vanificarsi di un’utopia di tipo socialista, la produzione di arti applicati di questi laboratori fu senza dubbio varia, nuova ed estremamente originale.
Le Wiener Werkstätte rappresentarono il vero banco di prova per realizzare la Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale: la perfetta consonanza tra edificio e arredo, tra dettaglio e stile di vita.

La costruzione tra il 1905 ed il 1911 del Palazzo Stoclet a Bruxelles costituì il trionfo e l’apoteosi di questa concezione. L’edificio, progettato da Josef Hoffmann per un ricco industriale con la collaborazione di molti artisti e dei laboratori delle Wiener Werkstätte, fu esemplare per la sua perfetta e compiuta sintonia tra struttura e decorazione: un monumento al Bello ed l’apoteosi visiva della raffinata vita borghese.
“Si è voluto mostrare come sia possibile permeare di arte tutta quanta la vita […]. Nessun settore è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle aspirazioni artistiche.” (Gustav Klimt)
L’EPILOGO DI UN SOGNO
Il momento di massimo splendore della Secessione andava di pari passo con la sua consunzione: i tempi mutavano in fretta e si affacciavano diversi modi di intendere il futuro.
Nel 1911 Walter Gropius cominciò a scrivere un nuovo capitolo della storia dell’architettura con la costruzione delle Officine Fagus e Adolf Loos, con la sua opera “Ornamento e delitto” (1908), metteva in luce come l’estetica decorativa non fosse più adeguata a soddisfare le nuove esigenze di struttura e funzione.

Nel frattempo la situazione politica si caricava di oscuri presagi: erano nell’aria quei colpi di pistola che nel giugno del 1914 avrebbero frantumato le certezze della borghesia mitteleuropea. Il tempo dei preziosi decori e delle linee sinuose era finito: il segno si faceva lacerazione e la città dei sogni mutava in una città popolata da angosce ed incubi.
L’età d’oro della sicurezza borghese stava morbidamente scivolando nella sua “gaia Apocalisse“.
“La gente viveva nella sicurezza cionondimeno erano tutti pieni di paura. Io lo avvertii attraverso il loro raffinato modo di vivere che derivava ancora dal barocco, io li dipinsi nella loro ansietà e nel loro panico.” (Oskar Kokoschka)