MARGARET BOURKE-WHITE FU LA PRIMADONNA DEL FOTOGIORNALISMO; CON LE SUE IMMAGINI POETICAMENTE INTENSE, IMMORTALÒ GLI EVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL NOVECENTO.
“La mia vita e la mia carriera non hanno nulla di casuale. Tutto è stato accuratamente progettato.” (Margaret Bourke-White)
MARGARET BOURKE-WHITE, LE ORIGINI
Margareth Bourke-White nacque a New York il 14 giugno 1904 da Joseph White e Minnie Bourke. Il padre era ebreo, ma la coppia decise di crescere i figli secondo la religione cristiana della madre. Ma se la madre determinò il suo credo, fu il padre ad avere un’influenza decisiva nella formazione di Margaret; ingegnere ed inventore, egli introdusse la giovane al mondo delle macchine, condividendo con lei l’amore per la fotografia.
Laureatasi in biologia alla “Cornell University” nel 1927, Margaret alternò gli studi universitari ai corsi di fotografia, rimanendo molto colpita dagli insegnamenti di Clarence Hudson White, uno dei maggiori rappresentanti della fotografia pittorialista. La sua carriera professionale cominciò con splendide immagini di carattere industriale, che colpirono l’attenzione di Henry Robinson Luce, fondatore delle riviste “Time” e “Fortune”.
Margaret era fermamente convinta che l’industria fosse il luogo deputato dell’arte, specchio fedele della moderna società americana. Pesanti macchinari, ciminiere fumanti, mastodontici ingranaggi, luminosi grattacieli, furono i soggetti prediletti delle sue prime prove come fotografa: una nuova epopea romantica, basata sulla fede nella tecnologia e nel progresso.
“I ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento.” (Margaret Bourke-White)

Incurante del pericolo, ambiziosa e volitiva, Margaret si metteva costantemente alla prova per conseguire la foto “perfetta”: sorvolava le città in aeroplano, si inerpicava sui cornicioni più alti dei palazzi, si inoltrava nelle zone più rischiose degli stabilimenti, sopportando lunghe ore di lavoro in ambienti scomodi e malsani.
“Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perché oltre ad essere fotografo sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto.” (Margaret Bourke-White)
MARGARET BOURKE-WHITE, LA FOTOREPORTER
La svolta nella sua professione si verificò in concomitanza con la Seconda Guerra Mondiale, che documentò con straordinario coraggio, nelle vesti di prima donna americana accreditata durante il conflitto e prima donna autorizzata a volare in missione di combattimento.
Con l’audacia di un soldato scese in prima linea, partecipando alle operazioni di pattugliamento, impegnandosi negli ospedali da campo e dormendo nelle trincee, sempre con la sua fedele macchina al collo, pronta ad immortalare i momenti più significativi degli scontri: campi di battaglia, bombardamenti, forni crematori, volti e corpi straziati, la dura verità di una storia agghiacciante.
“Ho visto e fotografato i mucchi di corpi nudi e senza vita, gli scheletri umani nelle fornaci, gli scheletri viventi che sarebbero morti il giorno dopo perché avrebbero dovuto aspettare troppo a lungo per la liberazione, i pezzi di pelle tatuata usati per i paralumi. Usare la fotocamera è stato quasi un sollievo. Ha interposto una leggera barriera tra me e l’orrore di fronte a me.” (Margaret Bourke-White)

Finita la guerra, Margaret non si concesse alcun riposo, costantemente a caccia di notizie seguitò a fotografare il mondo con le sue trasformazioni epocali. Le ultime ore di Gandhi prima della sua morte, l’indipendenza dell’India, il Sudafrica dell’apartheid e le condizioni disumane dei minatori, e poi ancora la guerra di Corea, il primo scontro militare della Guerra Fredda.
“Mi resi conto che c’era un’area importante che nessuno aveva raccontato: il popolo coreano stesso. Certamente con la guerra che tempestava da una parte all’altra il loro paese, la gente doveva essere molto provata. Che facevano i coreani? Che cosa dicevano o pensavano?” (Margaret Bourke-White)
MARGARET BOURKE-WHITE, L’EPILOGO
Nel 1953 le venne diagnosticato il morbo di Parkinson che, di lì a qualche anno, avrebbe posto fine alla sua intensa attività di fotografa. Ma non si arrese. Tenace e battagliera tentò anche un intervento chirurgico al cervello per ristabilire i suoi movimenti.
La sua instancabile sete di verità la indusse a parlare della sua malattia, a mostrare anche il lato più umano del suo essere donna: nel 1963 pubblicò “Portrait of Myself “, la sua autobiografia, mentre il collega Alfred Eisenstaedt ritrasse il suo stato di salute con un reportage per la rivista “Life”.
“La mia misteriosa malattia cominciò lentamente e facevo fatica a credere che ci fosse qualcosa che non andava. Compresi a malapena che era l’inizio movimentato di un periodo della mia vita in cui avrei dovuto aggiungere una parola al mio vocabolario – incurabile.” (Margaret Bourke-White)

In seguito ad una rovinosa caduta nella sua casa di Darien, nel Connecticut, Margaret Bourke-White si spense il 27 agosto 1971, a sessantasette anni di età.
“L’impersonalità della guerra moderna è diventata stupenda, grottesca. Anche nel cuore della battaglia, il raggio visivo di un essere umano illumina solo una piccola fetta del tutto, e tutto il resto è remoto, così incredibilmente remoto.” (Margaret Bourke-White)