CON I SUOI PROGETTI IMPOSSIBILI, LE SUE GENIALI PROVOCAZIONI E I SUOI GESTI RADICALI, IL GRUPPO DI ARCHITETTURA SUPERSTUDIO CONSERVA INTATTA, ANCORA OGGI, LA SUA DIROMPENTE CARICA RIVOLUZIONARIA.
“La nostra intenzione non era abbattere il sistema, ma anzi lavorare all’interno per cambiare l’architettura, per raccontare storie che non erano ancora state raccontate.”
(Cristiano Toraldo di Francia)
LE ORIGINI E I PROTAGONISTI
Firenze, inizi degli anni Sessanta. Un gruppo di studenti comincia a manifestare una certa insofferenza verso l’arretratezza culturale dell’architettura. Hanno parecchie idee nella testa, ma sono soprattutto motivati dalla volontà di progettare un mondo nuovo: ludico per la sua discendenza con la pop art, analitico per la sua familiarità con l’arte concettuale e politico, perché intendono fare del mondo un posto migliore in cui vivere.
L’esondazione dell’Arno del 1966 è il punto di rottura: la natura si confonde con l’architettura. Nasce Superstudio.

“L’alluvione voleva anche dire fine della razionalità: l’irrazionale era entrato all’interno di questa città rigorosa, geometrica, perfetta e l’aveva completamente sconvolta, sostituendo ai marmi e alle pietre un pavimento liquido, in cui i monumenti galleggiavano, isolati.”
(Cristiano Toraldo di Francia)
L’intenzione critica è esplicita. Se la realtà contemporanea è caratterizzata dall’accumulo sconsiderato di merci, “la superproduzione, il superconsumo, la superinduzione al consumo, il supermarket, il superman, la benzina super”, allora anche gli architetti saranno super, per dire così basta al mito del razionalismo.
Fondato da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, a cui si aggiungeranno in seguito Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris, e Alessandro Poli, fin dai suoi esordi si distingue per l’anima rivoluzionaria e provocatoria.
Un movimento di visionari che poneva fine all’idea di architettura come insieme di costruzioni, a favore di un’idea di architettura come generatrice di relazioni.
SUPERSTUDIO E IL DESIGN
Durante i primi anni la vis polemica di Superstudio investe il design, il primo tassello per il rinnovamento del sistema-architettura. Rifiutando la logica funzionalista che presiede alla creazione dell’oggetto e ne determina la forma, essi introducono elementi “altri” in grado di impattare sulle facoltà sensoriali del fruitore. Prende vita il design “d’evasione”.

Colori squillanti di derivazione pop, utilizzo del poliuretano espanso, forme psichedeliche e fantasiose all’inizio, per giungere, fra il 1968 ed il 1969, al grado zero, agli Istogrammi d’architettura, solidi neutri ed omogenei che aprono le porte ad un’infinita libertà compositiva.
L’immaginario muta, ma la valenza concettuale rimane la medesima: uno schiaffo al prodotto perfettamente riproducibile e omologato sull’esempio della catena di montaggio. Un design ripensato anche come atto di contestazione sociale, culturale ed economica.
“Ogni oggetto ha una funzione pratica e una contemplativa: è questa ultima che il design d’evasione cerca di potenziare. Così finiscono i miti ottocenteschi della ragione che spiega tutto e le mille variazioni sul tema della seggiola a quattro zampe, e i profili aerodinamici e le sterilizzazioni dai sogni.”
(Superstudio, Domus, giugno 1969)
SUPERSTUDIO E LA CITTÀ
Passano gli anni e l’occhio di Superstudio si allarga alla città, la città intesa in senso ampio, priva di costrizioni e di gerarchie, volta a costruire rapporti nuovi e significativi con il mondo, la natura, gli altri. Per dimostrare questo assunto, concepiscono, tra il 1969 ed il 1970, il “Monumento Continuo“, una raccolta di fotomontaggi che fondono natura e città.

Il “Monumento Continuo” è connessione, è l’idea di un’architettura collegata a tutta la terra che elimina sé stessa in quanto tale per essere sostituita da un oggetto unico, potenzialmente infinito. Un’architettura globale, anzi radicale, un’architettura modulare quadrettata che interseca natura e civiltà attraversando Manhattan e i deserti della California, Piazza Navona e il Colosseo, le cascate e i canyon, le Alpi svizzere e le cucine abitabili.
Un’idea utopica che ha avuto il pregio di riconsiderare il rapporto tra architettura e antropologia, tra costrizione e libertà, tra arte e design, anticipando quella linea di sviluppo dell’architettura come possibilità di relazioni dinamiche all’interno di una galassia territoriale; linea ancora oggi condivisa da alcuni architetti come Kazuyo Sejima o Rem Koolhaas.

Il “Monumento Continuo” costituisce un momento cruciale nella ricerca del gruppo. Le “Dodici città Ideali“, l’”Architettura riflessa“, “New-New York“, “Superficie neutra” e “Supersuperficie” sono tappe progressive di una interpretazione dell’architettura come unica identità in grado di realizzare un ordine cosmico.
Tutto ciò implica un rifiuto dell’architettura come sfruttamento sconsiderato del territorio, assorbita dalle logiche di mercato, vista come semplice operazione edile.
Gli “Atti Fondamentali” del 1971–1973 proiettano, infine, l’architettura fuori dai confini che le competono, affrontando in video le molteplici relazioni con la Vita, l’Educazione, la Cerimonia, la Vita e la Morte.
L’EREDITÀ
Nonostante le intenzioni promettenti, pochi progetti sono stati realizzati: la Storia intesa come ideologia del progettare ha preso il sopravvento sull’Utopia. Rimangono numerose pubblicazioni che testimoniano la stagione eroica di Superstudio, un manipolo di ribelli anticonformisti che fecero della progettazione architettonica luogo eletto di discussioni politiche, di rivoluzioni globali, strumento di ricerca e di conoscenza.
“…se il design è soltanto uno strumento per indurre al consumo, dobbiamo ripudiare il design; se l’architettura è solamente una codifica del modello borghese della proprietà, dobbiamo ripudiare l’architettura; se l’architettura e l’urbanistica non sono altro che la formalizzazione delle ingiuste divisioni sociali presenti, dobbiamo ripudiare l’urbanistica e le sue città.. finché con il design non si punterà a soddisfare le necessità primarie. Fino ad allora, il design deve scomparire. Possiamo vivere senza architettura…”
(Adolfo Natalini)