TRA LE FIGURE PIÙ IMPORTANTI NEL PANORAMA DELLA FOTOGRAFIA DEL SECONDO DOPOGUERRA, UGO MULAS SI È DISTINTO COME SUBLIME NARRATORE DELL’ARTE A LUI CONTEMPORANEA.
“Mi piace molto dei pittori questa cosa che a un certo punto una mattina si svegliano e dicono: io sono un pittore. E basta. E sono pittori, non c’è più niente da fare. Ci vuole anche un certo coraggio.” (Ugo Mulas)
UGO MULAS, LE ORIGINI
Ugo Mulas nacque a Pozzolengo, piccolo comune in provincia di Brescia, il 28 agosto 1928, terzo di cinque fratelli. Il padre Pasquale, di origini sarde, era un maresciallo dei carabinieri, mentre la madre, Carmela Nicolodi, era di origini trentine.
Dopo aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra la casa paterna e Desenzano del Garda, nel 1948 si trasferì a Milano per frequentare la facoltà di giurisprudenza presso l’Università Cattolica. Ma gli studi non lo appassionavano e nel 1951 si iscrisse al corso serale di nudo dell’Accademia di Brera.
I suoi esordi come fotografo si devono al caso, frutto di un gesto compiuto con una macchina presa in prestito da un amico. I soldi erano pochi, ma tanta la voglia di fare, di vedere, di sperimentare.
Al 1953 risale la sua prima foto al Bar Jamaica. Un piccolo bar, quello del quartiere in cui viveva, dove intellettuali ed artisti si mescolavano a bottegai ed artigiani, in un caleidoscopio umano unico ed irripetibile. Qui presero forma le idee più all’avanguardia del nostro Novecento, e qui Mulas cominciò il suo viaggio alla scoperta dell’arte contemporanea. Da quel momento la fotografia e l’arte divennero per Mulas due realtà imprescindibili e totalizzanti.
“Non ho mai amato fotografare paesi lontani, esotici, non ho visto la Cina, né l’India, né il Giappone. Perché penso che un fotografo possa correre avventure non meno eccitanti e istruttive girovagando a piedi tra Porta Romana e Porta Ticinese.” (Ugo Mulas)
UGO MULAS, IL FOTOGRAFO DELL’ARTE
A partire dal 1954, insieme all’amico fotoreporter Mario Dondero, Mulas prese a visitare la Biennale di Venezia, divenendone il fotografo ufficiale. Partecipò a tutte le edizioni fino al 1972, l’anno prima della sua morte, documentando la storia e i protagonisti della manifestazione. Con le sue foto egli dimostrò di saper raccontare l’opera e l’artista in modo sincero e genuino: il fotografo riconosce l’artista e ne diventa l’interprete esemplare.
“Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quello di registrarla nella sua totalità.” (Ugo Mulas)
Durante la Biennale veneziana del 1964, Mulas venne in contatto per la prima volta con la Pop Art ed entrò in amicizia con Alan Solomon, curatore del Padiglione Americano, e con Leo Castelli, principale gallerista dell’espressionismo astratto. Ciò gli permise di recarsi a New York già nell’autunno del 1964, per poi tornarci ancora nel 1965 e nel 1967. A contatto con questo nuovo e dirompente ambiente artistico, Mulas diede vita ad alcuni degli scatti più iconici della sua carriera di fotografo.
“In un primo momento, negli Stati Uniti, sono stato più stordito che convinto; poi mi sono entusiasmato, perché non si trattava soltanto di prendere contatto con una certa pittura, quanto di entrare nel mondo dei pittori, e al tempo stesso di condividere un momento straordinario, di essere il testimone di una cosa veramente importante nel momento in cui capitava e si affermava.” (Ugo Mulas)
Consapevole che, per una corretta comprensione dell’arte contemporanea, fosse essenziale riprendere l’opera nel suo farsi, Mulas ritrasse gli artisti condividendone le vibrazioni emotive. Scrutò con acutezza John Cage nella sua dimora, osservò Robert Rauschenberg nel suo loft, immortalò Roy Lichtenstein tra i suoi adorati fumetti, riprese Andy Warhol nella sua Factory, e molti altri ancora, tutti immersi nelle loro abituali atmosfere lavorative, lì dove la magia dell’arte prendeva forma. L’esito di questo approccio fu stupefacente: un viaggio dentro il momento fatidico, rivelatore dei presupposti concettuali, della concentrazione, dell’attesa e dei rituali che portano alla realizzazione dell’opera d’arte.
“Fotografavo tutto perché mi interessava registrare l’atmosfera di ogni evento artistico.” (Ugo Mulas)
L’incontro ravvicinato con personalità così diverse, ma tutte accomunate dalla medesima energia creativa, portò Mulas a compiere un’analisi sulla fotografia e sul suo modo di fotografare. Dopo aver praticato la fotografia da autodidatta per oltre vent’anni, negli anni Settanta egli sentì l’esigenza di pensare concretamente al proprio lavoro.
Le Verifiche nacquero proprio come una riflessione sull’arte della fotografia a posteriori: una serie di immagini dal grande potere evocativo, tese ad esibire le straordinarie possibilità del mezzo fotografico. Dopo una vita spesa a guardare la vita degli altri, alle soglie della sua prematura scomparsa, Mulas rivolse lo sguardo verso sé stesso, lasciandoci un testamento prezioso sull’uomo e sull’artista.
“Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell’operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé. Per esempio, che cosa è la superficie sensibile? Che cosa significa usare il teleobiettivo o un grandangolo? Che legame corre tra una foto e la sua didascalia? Sono i temi, in fondo, di ogni manuale di fotografia, ma visti dalla parte opposta, cioè da vent’anni di pratica, mentre i manuali sono fatti, e letti, di solito, per il debutto. Può darsi che alla base di queste mie divagazioni ci sia quel bisogno di chiarire il proprio gioco, così tipico degli autodidatti, che essendo partiti al buio, vogliono mettere tutto in chiaro, e conservano rispetto al mestiere conquistato giorno dopo giorno, un certo candore e molto entusiasmo. Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in sé stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico.” (Ugo Mulas)
Ugo Mulas si spense a Milano il 2 marzo 1973, colpito da un male incurabile. La sua vicenda artistica, nonostante fu limitata a poco meno di un ventennio, fu incredibilmente intensa, trasformando un generico interesse per l’arte in una puntuale definizione del proprio strumento di espressione in relazione all’arte stessa.
“Una foto deve essere buona, non bella. Perché la foto bella può essere tecnicamente a posto, piacevole, però può non raccontare niente. La buona fotografia può essere mossa e sfocata, ma racconta, parla.” (Ugo Mulas)