PIERO DELLA FRANCESCA FU UN DEI GRANDI INTERPRETI DEL RINASCIMENTO ITALIANO; PITTORE E MATEMATICO, EGLI SI DISTINSE PER LA RIGOROSA COSTRUZIONE FORMALE DELLE SUE OPERE.
Lo scrittore inglese Aldous Huxley considerava la sua “Resurrezione” il “più bel dipinto del mondo”; ammirato da letterati del calibro di Gabriele D’Annunzio, Albert Camus e Pier Paolo Pasolini, Piero della Francesca è un artista fuori dal tempo, poiché senza tempo è la sua pittura che risponde alle regole universali della logica.
“E ci commuove la sublimazione del genio pittorico di Piero della Francesca, nutrito della più alta scienza e filosofia del Rinascimento, assertore del più assoluto intellettualismo, che intona un puro canto lirico.” (Fernanda Wittgens)
PIERO DELLA FRANCESCA, LE ORIGINI
Piero di Benedetto de’ Franceschi, più comunemente noto come Piero della Francesca, nacque a Borgo San Sepolcro, oggi Sansepolcro, un piccolo comune in provincia di Arezzo. Non si sa molto circa le sue origini, a partire dalla data di nascita, poiché un incendio bruciò gli atti dell’anagrafe. Il padre, Benedetto di Pietro de’ Franceschi, era un commerciante, cosa che spiegherebbe la sua dimestichezza con i calcoli e formule matematiche.

A Firenze, la città che a quel tempo era la culla di un rinascimento culturale, ebbe luogo la sua formazione artistica. Il primo documento che attesta la sua attività nel capoluogo toscano risale al 7 settembre 1439, quando lo troviamo a collaborare con Domenico Veneziano agli affreschi per il coro della Chiesa di Sant’Egidio.
Domenico Veneziano, con la sua tavolozza luminosa, e Masaccio, con la sua costruzione formale, furono i due maestri che, più di ogni altro, influenzarono la ricerca stilistica di Piero.
IL POLITTICO DELLA MISERICORDIA
Nel 1442 Piero risulta nuovamente cittadino di Borgo Sansepolcro, dove si trovò a ricoprire la carica di consigliere popolare nel consiglio comunale.
L’11 gennaio 1445 ricevette dalla Confraternita della Misericordia l’incarico per la realizzazione di un polittico, destinato all’altare della loro chiesa, una delle poche opere documentate di Piero e una delle prime commissioni ricevute nella sua città.
Il “Polittico della Misericordia” è legato ancora alla struttura tradizionale delle pale d’altare a scomparto con fondo oro, ma in questa arcaica costruzione è già possibile intuire tutta la portata innovativa dell’artista. La visione di Piero è moderna, capace di evolversi dai rigidi canoni del passato: le mattonelle del pavimento e l’ampiezza dei panneggi danno profondità e volume alla scena, mentre i personaggi, nella loro monumentalità, appaiono come degli elementi architettonici, strutture funzionali alla determinazione dello spazio prospettico.

Le sue figure sono icone dell’eterno, immagini senza moto che, come ebbe a dire Bernard Berenson, “si contentano di esistere. Esistono e basta. Non si danno nessuna pena di spiegare, di giustificare la loro presenza, di svegliare la simpatia, l’interesse dello spettatore”, esse assumono un significato per il solo fatto di esserci. Con Piero la fredda scienza prospettica si fece arte, divenendo lo specchio della perfezione cosmica: eterna bellezza di un ordine divino.
“L’intelletto non possiede nulla che gli occhi non possano vedere. Gli occhi non vedono nulla che l’intelletto non possa capire.” (Giulio Carlo Argan)
LA FLAGELLAZIONE DI CRISTO
Eliminato il fondo oro del polittico e riunito lo spazio circostante, Piero realizzò uno dei suoi grandi capolavori: la “Flagellazione”. Il dipinto è nettamente diviso in due parti: sullo sfondo si svolge la Flagellazione mentre, in primo piano, sono raffigurati tre personaggi misteriosi. Sono state fatte molte supposizioni circa l’identità di questi uomini ed il loro significato, ma l’unica cosa certa è il fatto che essi sono contemporanei all’artista, cosa che si evince dalle fogge dei loro abiti.
La grande novità della raffigurazione consiste nell’aver dipinto due storie separate nel tempo e nello spazio, ma unificate nei gesti e negli atteggiamenti. La sua straordinaria capacità di sintesi spaziale si pone oltre la ricerca degli artisti del suo tempo: un ordine geometrico del tutto simile ad una rappresentazione astratta. Linee, piani e moduli si alternano e si compenetrano con un ritmo armonico; in tutto ciò il soggetto rimane in ombra, una sorta di pretesto utilizzato meramente a scopi compositivi.

Piero della Francesca, con la sua riduzione matematica, fu in grado di anticipare il gusto razionalista di una tela di Mondrian o di un progetto della Bauhaus: un processo di intellettualizzazione pittorica che diede preminenza all’atto del dipingere più che al fatto rappresentato. Una conquista che pose l’arte al servizio di un’idea.
“Saluteremo in Piero della francesca il primo cubista.” (André Lothe)
LA LEGGENDA DELLA VERA CROCE
Artista oramai maturo, nel 1452 Piero della Francesca viene chiamato ad Arezzo per realizzare gli affreschi della “Leggenda della Vera Croce”. Eseguito per il coro della chiesa di san Francesco, il ciclo illustra alcuni episodi tratti dalla “Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine.
Annoverata tra i più eccelsi esempi di pittura rinascimentale, la serie si distingue per la lucida strutturazione delle scene, più che per il tema del tessuto narrativo: spazi grandiosi, nobili e sublimi, funzionali alla costruzione logica dell’autore. Un occhio algido e distaccato è quello di Piero, che sarà da guida per i pittori che verranno dopo di lui.

“[…] Piero della Francesca si dimostra artista totalmente creativo: egli affronta per la prima volta questioni che verranno sviluppate dalla ricerca successiva, che verranno poi assorbite e sviluppate da Signorelli, da Perugino, da Raffaello, tutti spinti in avanti, nella loro ricerca, dal contatto con Piero della Francesca, grande teorico prima che grande pittore; e soprattutto ci raggiunge con un’immagine di una modernità inesauribile – tanto da farci dire che più di ogni altro pittore del Rinascimento è proprio lui l’artista che oggi osserviamo come simbolo di quel tempo.” (Vittorio Sgarbi)
LA PALA DI BRERA
Nel corso della sua esistenza Piero della Francesca strinse dei rapporti molto stretti con la città di Urbino e con il suo signore, il duca Federico da Montefeltro, per il quale eseguì alcune opere. Tra queste vi è la “Pala di Montefeltro”, più comunemente nota come “Pala di Brera”, riferendosi al luogo dove oggi è conservata, ossia la Pinacoteca di Brera a Milano.
Non si conoscono la destinazione originaria né la data di realizzazione della Pala, ma un indizio ci è fornito dal ritratto del duca di Montefeltro, inginocchiato sulla destra: egli non porta ancora l’onorificenza dell’Ordine della Giarrettiera, ricevuta nel 1474 da Edoardo IV d’Inghilterra, quindi il dipinto risulta essere anteriore a tale data.

Il tema, molto frequente nell’arte italiana, è quello della Sacra conversazione: la Madonna ed il Bambino contornati da alcuni santi, che conversano idealmente con Lei. Il dialogo tra la Vergine ed i santi si svolge in uno spazio unitario, tralasciando la ferrea divisione tipica del polittico a scomparti. Anche in questo caso è la struttura a cementare la composizione, tutto è funzionale alla compiuta costruzione architettonica. L’unico personaggio escluso dal rigido ritmo compositivo è Federico da Montefeltro, personaggio del tempo e, come tale, non partecipe al mistero della Sacra conversazione.
PIERO DELLA FRANCESCA, L’EPILOGO
Negli ultimi anni della sua vita Piero della Francesca fu colpito da una grave malattia agli occhi che lo rese cieco. Abbandonò progressivamente la pittura per concentrarsi sul completamento dei suoi trattati dedicati allo studio della matematica e della prospettiva geometrica. Il sistema prospettico da lui praticato e teorizzato nel “De prospectiva pingendi”, divenne una sorta di bibbia per la composizione pittorica del tempo.
Il 12 ottobre 1492, lo stesso giorno in cui si scopriva il Nuovo Mondo, Piero della Francesca si spense a Borgo San Sansepolcro.

Piero della Francesca è stato per molto tempo trascurato, per poi essere riabilitato verso la fine dell’Ottocento, acclamato come il più moderno tra gli antichi.
“… L’animo e la mente scientifica ebbero in lui concordi il senso pittorico e l’arte nel cercare e nell’esaltare quella solidità e fermezza di forza e dell’intimo. Pittore, egli definì il volume dei corpi, e il loro rapporto con lo spazio, con tanta intensità da imporli come rivelazioni incoercibili, volgendo al suo scopo anche gli elementi più instabili: luce e colore; teorico, ne portò la precisione a rigore matematico. Il colore, se pur diafano e brillante, intese come saldo tegumento della forma …” (Pietro Toesca)