VITTORIO MATTEO CORCOS È COMUNEMENTE NOTO PER LA SUA VASTA PRODUZIONE DI RITRATTI MONDANI; CON SGUARDO LUCIDO E UNO STILE IMPECCABILE HA SAPUTO RAPPRESENTARE I FASTI BORGHESI DEL NOVECENTO.
“In un ritratto quello che conta sono gli occhi. Se quelli riescono come voglio, con l’espressione giusta, il resto viene da sé.” (Vittorio Matteo Corcos)
VITTORIO CORCOS, LA FORMAZIONE
Vittorio Matteo Corcos nacque a Livorno il 4 ottobre 1859, da Isacco e Giuditta Baquis, entrambi di fede ebraica. Fin da giovane dimostrò una certa predisposizione per l’arte che approfondì presso la scuola di Giuseppe Baldini, primo maestro di Giovanni Fattori, e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Nel 1881 giunse a Parigi dove, dopo un primo periodo che lo vide impegnato come pittore di ventagli, riuscì ad ottenere un contratto di quindici anni con Alphonse Goupil, mercante d’arte di fama internazionale. Contemporaneamente frequentò lo studio di Léon Bonnat, ricercatissimo ritrattista dell’alta borghesia, che lo introdusse negli ambienti più esclusivi della città.
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Affascinato dalla vita mondana, Corcos si dedicò con successo alla pittura di scene di genere, riservando una cura particolare all’esaltazione della bellezza femminile. Il corrispondente parigino del “Times” Henri de Blowitz lo chiamò il “pittore delle belle donne”, appellativo che gli rimase impresso come un marchio.
“Il ritratto di un uomo deve sempre rappresentare con evidenza la posizione sociale che esso occupa nel mondo; un ritratto di donna deve sempre renderla provocante, anche se ottantenne.” (Vittorio Corcos)
“SOGNI” DI VITTORIO CORCOS
Le mode, le pose, i giochi e lo svago, ma anche gli eccessi, le manie e i vizi dell’élite dominante, furono materia feconda per l’opera di Corcos: il fascino ambiguo e perverso di una società che si stava avviando verso il dramma della Grande Guerra.
Il suo stile morbido e ben definito incontrò i gusti della sua epoca, tanto che uno dei suoi più famosi dipinti, “Sogni”, venne assunto a simbolo della belle époque. Una ragazza siede con disinvoltura su una panchina, nella quale sono posati un ombrellino, un cappello di paglia, tre libri e una rosa che va sfiorendo. Con il volto appoggiato sulla mano sinistra, fissa dritta lo spettatore con sguardo sicuro, quasi sfrontato. Le gambe sono accavallate in una posizione ritenuta indecorosa.
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A lungo la critica si è interrogata su quali fossero i sogni ad occhi aperti di questa graziosa fanciulla: il dolore per un amore finito o la speranza di uno nascente? Sono pensieri malinconici quelli che la tormentano oppure è immersa in voluttuose fantasie? Non avremo mai delle risposte certe, l’unica cosa certa l’identità della fanciulla. Si trattava di Elena Vecchi, figlia dello scrittore Augusto Vittorio Vecchi, storico e scrittore di libri marinari, noto con lo pseudonimo di Jack la Bolina, nonché intimo amico dell’artista.
Il dipinto fu presentato al pubblico nella Firenze del 1896, in occasione della “Festa dell’Arte e dei Fiori”. Subito fu oggetto di grande scandalo. La posa della fanciulla così disinibita e trasgressiva aveva fomentato numerosi pettegolezzi su una presunta relazione tra la modella, allora ventitreenne, e Corcos di trentasette anni di età. Smentite le voci, il quadro si impose come il manifesto di un nuovo modello di donna che si andava affermando, una donna moderna ed emancipata, consapevole dei propri desideri e libera di sognare. Un fatto decisamente inusuale per l’Italia di fine Ottocento.
L’opera è oggi conservata presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma che l’acquistò nel 1897.
VITTORIO CORCOS, L’EPILOGO
Accanto ai ritratti dei socialite, che gli valsero fama e notorietà, Corcos si dedicò anche a tematiche religiose e a soggetti agresti, sulla scia dei francesi Millet e Breton. In quest’ultimo genere venne fortemente influenzato dalla letteratura simbolista e naturalista d’oltralpe, che in Italia aveva i suoi corrispondenti in Carducci, Pascoli e D’Annunzio, personaggi che conosceva grazie all’intercessione della moglie Emma Ciabatti, fine letterata. Tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento il salotto di casa Corcos era il luogo di ritrovo di artisti ed intellettuali, molti dei quali furono dipinti da Corcos. I più assidui erano gli stessi che d’estate si ritrovano a Castiglioncello, luogo che è rimasto sullo sfondo di numerose sue opere.
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Dopo la morte del figlio Massimiliano nella Prima Guerra Mondiale, il 3 aprile 1916, Corcos non sarà più lo stesso, un sottile velo di malinconia diverrà una presenza costante dei suoi ultimi anni di vita. L’8 novembre 1933, Vittorio Matteo Corcos si spense nella sua casa di Firenze. La moglie Emma lo seguì pochi giorni dopo.
Pittore di grande talento e di straordinaria versatilità, Corcos fu presto dimenticato. Con l’avvento della Grande Guerra la sua opera, troppo legata all’immagine di un’esistenza frivola e spensierata, venne considerata completamente fuori tempo.
Oggi le sue opere si possono ammirare presso la Galleria degli Uffizi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e in numerosi altri musei del mondo.
“Chi non conosce la pittura di Vittorio Corcos? Attenta, levigata, meticolosa, ottimistica: donne e uomini come desiderano d’essere, non come sono.” (Ugo Ojetti, 1948)