IL MITO DI DANAE È STATO UNA FONTE COSTANTE D’ISPIRAZIONE PER TUTTA L’ARTE OCCIDENTALE, NEL CORSO DEI SECOLI.

Anche la bella Dànae/ mutò la luce eterea/ con un bronzeo carcere,/ nascosta fu nei vincoli/ di sepolcrale talamo.” (Sofocle, Antigone)

 

DANAE, IL MITO

 

La principessa Danae era figlia di Acrisio, sovrano di Argo, e della regina Aganippe. Non avendo figli maschi in grado di succedergli al trono, il re interrogò un oracolo per sapere come procurarsi un erede. La laconica sentenza fu: “tu non avrai figli e tuo nipote ti ucciderà.”

Per impedire l’avverarsi della profezia, Acrisio imprigionò Danae in una torre dalle porte di bronzo, custodita da cani ferocissimi; ma, nonostante tutte queste precauzioni, Zeus discese su Danae come una pioggia d’oro ed essa gli generò un figlio chiamato Perseo.

 

Orazio Gentileschi, Danae, 1623
Orazio Gentileschi, Danae, 1623

 

Informato dell’accaduto, Acrisio non ebbe l’ardire di uccidere sua figlia e così decise di rinchiuderla con il neonato in un’arca di legno, affidandola poi ai flutti del mare. L’arca fu trascinata dalle onde verso l’isola di Serifo, dove un pescatore di nome Ditti la trovò, con Danae e il figlio ancora in vita. Subito condusse i due naufraghi al cospetto di suo fratello, il re Polidette, che li accolse benignamente nella propria casa.

Trascorsero gli anni e Perseo, dopo vari accadimenti, capitò a Larissa per partecipare ai giochi funebri organizzati dal re Teutamide in onore del suo defunto genitore. Qui, mentre lanciava il disco durante una gara di pentatlon, colpì accidentalmente il nonno Acrisio ad un piede e lo uccise. Vani si dimostrarono gli accorgimenti messi in atto da Acrisio per eludere il suo destino: la profezia dell’oracolo si era alfine compiuta.

 

DANAE, LE RAPPRESENTAZIONI ED IL SIGNIFICATO

 

Le prime rappresentazioni di Danae risalgono al V secolo a.C. e sono costituite da pitture vascolari, dove la composizione è già quella canonica: la giovane donna è raffigurata sdraiata, pronta ad accogliere la pioggia dorata di Zeus.

Dal mondo antico il mito giunse fino al Medioevo cristiano che lo reinterpretò in chiave più austera, in modo da epurarlo dalle sue componenti licenziose. Danae venne così ad incarnare la peccatrice vinta dalla tentazione della carne, oppure una prefigurazione della Vergine Maria, fecondata tramite l’intervento divino.

Sfrondata dalle sue connotazioni moraleggianti, Danae ricomparve in tutta la sua fulgida sensualità durante il periodo rinascimentale. Uno dei primi maestri del Rinascimento a lasciarci un’immagine di Danae fu Baldassarre Perruzzi nella sua decorazione della “Loggia di Galatea” per Villa Farnesina, sontuosa residenza romana fatta edificare agli inizi del Cinquecento dal banchiere senese Agostino Chigi.

 

Jan Gossaert, Danae, 1527
Jan Gossaert, Danae, 1527

 

Del tutto originale per concezione è la versione del pittore fiammingo Jan Gossaert, detto Mabuse, firmata e datata 1527.  In una sorta di alcova architettonica la fanciulla è immortalata nell’atto di denudarsi, pronta a ricevere il seme dorato di Zeus. Una scena altamente erotica, in parte stemperata da alcune analogie con l’iconografia dell’Annunciazione. In questo caso, anche il più pagano Rinascimento, si trovò a dover fare i conti con la morale cristiana per giustificare l’esibizione di un nudo femminile.

Da qui presero forma tutta una serie di rappresentazioni sempre più audaci, dove l’imago pudicitiae dell’interpretazione cristiana lasciò il passo ad una visione laica estremamente provocante. A partire dal Correggio, con i suoi tocchi di raffinata sensualità, passando per Tiziano, con la sua voluttuosa enfasi carnale, giungendo al Seicento, con Artemisia Gentileschi e Rembrandt, la storia di Danae fu uno dei temi prediletti dall’arte fino all’Ottocento inoltrato.

 

Tiziano Vecellio, Danae, 1553
Tiziano Vecellio, Danae, 1553

 

L’episodio si prestava a letture diverse, a seconda dei tempi e dei significati che vi si intendevano trovare. La pioggia d’oro che feconda Danae poteva indicare l’incontenibilità del desiderio in grado di infrangere qualsiasi barriera, ma anche il potere degli dei che non si piegano di fronte al volere degli uomini.

In qualche caso il mito è stato letto come metafora del rapporto di dipendenza esistente tra i ricchi committenti e le giovani prostitute. Molte volte, accanto alla fanciulla, compare una vecchia mezzana che contratta il prezzo di vendita del corpo al miglior offerente. In questi casi la pioggia d’oro veniva spesso rappresentata sotto forma di monete d’oro.

 

DANAE, UN’EROINA MODERNA

 

Durante il Novecento il mito di Danae, svuotato dai suoi significati originari, divenne un colto pretesto per raccontare la fisionomia di una donna nuova, una donna libera ed emancipata, padrona di sé stessa e del suo corpo.

Esemplare in tal senso è il dipinto di Gustav Klimt del 1907, dove Danae costituisce il prototipo di questa moderna femminilità. Mollemente rannicchiata, con una calza che scivola lungo una gamba, la Danae klimtiana è pronta ad accogliere l’umore divino allungando la mano verso la vulva, in un esplicito atto di masturbazione. Il viso reclinato, la bocca socchiusa e l’espressione estatica, sono tutti dettagli indicativi di un momento di intenso godimento e di abbandono dei sensi.

 

Gustav Klimt, Danae, 1907
Gustav Klimt, Danae, 1907

 

Con la sua linea fluida e la sua cromia preziosa, Klimt ha saputo dare un volto alla donna del suo tempo, totalmente immersa nella scoperta della propria sessualità: Danae è qui una spregiudicata viennese che sfida le certezze virili della Vecchia Europa. Danae si trasforma così in una metafora dell’individuo in preda all’alienazione della modernità: l’erotismo come unico antidoto contro le nevrosi dell’esistenza.

Tu mi rammenti Danae, che una torre/ di bronzo separava dalla luce/ con un bronzeo carcere,/ celeste. Chiusa tollerò sua pena;/ anche per lei fu talamo un sepolcro./ Ed era illustre, o figlia la sua stirpe:/ doveva custodire in grembo il seme/ aureo di Zeus trasfigurato in pioggia.” (Sofocle, Antigone)