ANTONIO ALLEGRI, DETTO CORREGGIO, FU UNO DEI PIÙ INNOVATIVI INTERPRETI DEL RINASCIMENTO ITALIANO. EGLI SEPPE SUPERARE LA SUA EPOCA, ANTICIPANDO DI MOLTI ANNI IL GUSTO DEL SEICENTO.
“Fu il primo in Lombardia che cominciasse cose dalla maniera moderna.” (Giorgio Vasari)
CORREGGIO, LA FORMAZIONE
Antonio Allegri nacque nella cittadina di Correggio, da cui il soprannome, attorno al 1489 da Pellegrino e Bernardina Piazzoli.
Scarse sono le notizie riguardo la sua formazione. Probabilmente apprese i rudimenti della pittura nella bottega dello zio Lorenzo, modesto artista locale. Altre fonti lo vogliono allievo di un certo Antonio Bartolotti, altro pittore di Correggio di modesta levatura.
Certa è invece l’influenza che ebbe su di lui l’opera di Andrea Mantegna, che ebbe modo di conoscere durante un suo soggiorno a Mantova attorno al 1503. È lecito ipotizzare che Correggio sia venuto in contatto anche con l’arte di Leonardo da Vinci che soggiornò proprio a Mantova sul finire del Quattrocento.

Il suo esordio viene fatto risalire attorno al 1507, quando partecipò alla decorazione della cappella funeraria del Mantegna, presso la chiesa di sant’Andrea a Mantova: alla sua mano vanno attribuiti i quattro Evangelisti nei pennacchi sotto la cupola, due angeli, nonché due tondi ad affresco nell’atrio della basilica, una “Deposizione” e una “Sacra Famiglia con san Giovannino e santa Elisabetta”, oggi custoditi al Museo Diocesano di Mantova.
Verso il 1515 il Correggio si recò probabilmente a Roma, dove vide le opere di Raffaello Sanzio e di Leonardo da Vinci, autori che ebbero una certa influenza sui suoi lavori. L’impianto mantegnesco, la dolcezza di Raffaello unita alle ricerche leonardesche sulla prospettiva e lo sfumato, furono elementi fondanti su cui maturò la sua personale ricerca artistica.
CORREGGIO, UNA NUOVA CONCEZIONE DELLO SPAZIO
Attorno al 1519 Giovanna Piacenza, badessa del convento benedettino di San Paolo, invitò a Parma il Correggio per decorare la volta di una delle camere del suo appartamento privato. L’ambiente era adibito a funzioni di ricevimento e di amministrazione, ma fungeva anche come luogo di ritrovo per umanisti e letterati.
Per questa impresa Correggio elaborò una spettacolare decorazione illusionistica: un finto pergolato suddiviso in sedici spicchi delimitati da nervature, dai quali si affacciano degli amorini all’interno di un ovale. I sedici settori poggiano su altrettante lunette dipinte a monocromo, sostenute da una finta cornice ornata con capitelli e teste d’ariete.
Sopra la cappa del camino è raffigurata trionfalmente la dea Diana sul cocchio. La lettura iconografica rimane tutt’ora dibattuta, ma senza alcun dubbio alla base della scelta del soggetto sta il desiderio della Badessa di dare sfoggio delle sua raffinata cultura umanistica e classica.
Senza alcun dubbio essa rappresenta un capolavoro assoluto del Rinascimento italiano per la sua bellezza e la sua carica innovativa. “Una sovrana eleganza – scrisse a riguardo Roberto Longhi – tra intellettuale e arcaica, venatoria e conviviale di cui non è altro esempio paragonabile nel nostro Rinascimento.”

La “Camera della Badessa” ottenne un successo immediato, tanto che gli garantì altre importanti commissioni. Sempre nella città di Parma, tra il 1520 ed il 1524, il Correggio realizzò uno straordinario affresco per la cupola dell’abbazia di San Giovanni Evangelista. Il tema, incentrato sulla “Visione di san Giovanni Evangelista a Patmos”, fu tradotto in modo del tutto inusuale, sia per la struttura compositiva che per la concezione dello spazio compositivo.
Gli apostoli, di una corporeità degna di Michelangelo, fanno da corona a Cristo che ascende trionfale nel cielo luminoso. Eliminando il tradizionale impianto architettonico, Correggio liberò nell’atmosfera i suoi personaggi, restituendo una potente e coinvolgente sensazione illusionistica.
Questa soluzione formale trovò il suo più felice compimento nell’”Assunzione della Vergine”, portata a termine nel 1530 per la cupola del Duomo di Parma. Anticipando di un secolo le soluzioni formali del Barocco, Correggio costruì uno spazio che di fatto annullava ogni limite tra struttura architettonica ed immagine dipinta. Lo spettatore viene così trascinato in un vortice emozionale che lo rende protagonista dell’evento sacro.

L’opera, non molto gradita ai suoi committenti, suscitò il plauso dei suoi colleghi pittori che si recarono appositamente a Parma per poterla ammirare personalmente. Si narra che Tiziano in persona abbia dissuaso i canonici dal distruggere l’affresco, sostenendo che se fossero riusciti a colmare l’intera cupola di monete d’oro, non sarebbero stati comunque in grado di pagarne il giusto prezzo. Anche se fosse solo una diceria, ce la dice lunga sulla grande considerazione che quest’opera riscosse tra gli addetti ai lavori.
“Né si può esprimere le leggiadrissime vivacità vive che fece nelle opere sue Antonio da Correggio, sfilando i suoi capelli con un modo, non di quella maniera fine che facevano gli innanzi a lui, ch’era difficile, tagliente e secca, ma d’una piumosità morbidi, che si scorgevano le fila nella facilità del farli, che parevano d’oro e più belli che i vivi, i quali restano vinti dai suoi coloriti.” (Giorgio Vasari)
CORREGGIO, LE COMMITTENZE PRIVATE
Nelle opere destinate alla committenza privata, Correggio mise in luce il carattere più dolce ed intimista della sua pittura: soggetti di carattere religioso o mitologico, interpretati con sorprendente finezza espressiva e delicata grazia sentimentale.
I dipinti con tema mitologico erano l’occasione per sfoggiare contenuti di un dotto simbolismo, spesso con connotazioni esplicitamente erotiche. Le rappresentazioni erano varie e complesse, dovendo adattarsi ai gusti della committenza che ne influenzava la resa e la qualità espressiva.
In questo vasto panorama iconografico, merita una speciale menzione la “Danae”, eseguita attorno al 1530-1531. Essa faceva parte di una serie di quattro dipinti raffiguranti gli amori di Zeus, che gli furono richiesti da Federico II Gonzaga, signore di Mantova.

Nell’interpretare un tema molto diffuso nel Rinascimento, Correggio si distinse per delicatezza pittorica unita ad una malizia tipicamente moderna, certamente rivoluzionaria rispetto alla tradizione. Danae, semisdraiata su di un letto, scosta il lenzuolo per accogliere l’effluvio dorato del dio. Ella osserva, come un’adolescente emozionata, e al tempo stesso incuriosita, la sua nudità bagnata dalla pioggia d’oro.
La Danae del Correggio è una donna che partecipa all’unione con Zeus, e lo fa dimostrando un erotismo lieve e delicato. Molti secoli dopo Stendhal, trovandosi di fronte a questo dipinto, si sentì pervaso da un’intensa commozione tanto da esclamare: “che grazia seducente! Che grazia celeste! La grazia dell’espressione unita a quella dello stile! Un miracolo!”
Correggio si spense improvvisamente il 5 marzo 1534 nella sua città natale. Il giorno seguente venne sepolto nella chiesa di san Francesco, vicino al suo capolavoro giovanile “Madonna di san Francesco”, oggi custodito presso la “Gemäldegalerie Alte Meister” di Dresda.
“Nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui.” (Giorgio Vasari)