UNA RELAZIONE ARTISTICA PERFETTA. LA PENNA AFFILATA DI OSCAR WILDE E IL DISEGNO TAGLIENTE DI AUBREY BEARDSLEY AL SERVIZIO DI UN’IRRIVERENTE SALOMÈ.

Capita raramente di assistere ad un sodalizio artistico di tale esemplare omogeneità d’intenti, soprattutto se, come in questo caso, il sodalizio è osteggiato, non voluto, carico di rivalità e di gelosie. Come molte relazioni casuali, però, anche quella tra Wilde e Beardsley produsse un mirabile capolavoro, la “Salomè“, dove poesia e decorazione raggiunsero incantevoli vette di unione compositiva e strutturale.

 

UNA PUBBLICAZIONE CONTROVERSA

 

Salomè” è un dramma teatrale  in un atto unico, scritto in francese nel 1891 da Oscar Wilde.

Il testo si ispirava alla vicenda biblica della figlia di Eorodiade che, innamorata di Jokanaan (Giovanni Battista), prigioniero del patrigno Erode, decise di danzare in onore di quest’ultimo per averne la testa.

Un soggetto molto forte, di grande impatto emotivo, che metteva in evidenza tematiche universali quali l’amore e la morte, il sacro ed il profano.

Personificazione della femme fatale, la “Salomè” narra una storia di desiderio lussurioso e distruttivo che Wilde raccontò in toni ironici, rendendo fiabesco ed umoristico l’oriente opulento e bizantineggiante alla Gustave Moreau.

 

Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894
Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894

 

L’opera venne pubblicata nel 1893 a Londra e a Parigi e, nel 1894, ne uscì la traduzione in inglese corredata dai controversi disegni di Aubreay Beardsley.

Le illustrazioni non piacquero molto a Wilde che, conscio della grandezza e finezza rappresentativa di Beardsley, temeva che la sua opera letteraria ne potesse uscire mortificata e sminuita rispetto all’apparato figurativo.

Si originò così un’accesa querelle che affondava le sue radici nella narcisistica pretesa di predominio da parte di entrami gli autori, due grandi personalità artistiche dal carattere decisamente “pungente”. Wilde e Beardsley, oltre a contendersi la scena artistica, si contendevano anche la presenza nei salotti più civettuoli e à la mode della Londra di fine secolo.

Entrambi incarnavano la figura del dandy che eleva se stesso e la sua vita ad opera d’arte, attraverso un egocentrico compiacimento della propria raffinatezza estetica e un atteggiamento eccentrico fortemente caricato e pubblicamente sbandierato. Fu, forse, proprio questo modo comune di sentire la vita e la realtà a porre in perfetta sintonia gli intenti dei due interpreti, tanto che, nella “Salomè”, parola scritta e immagine disegnata si compenetrano e fondono creando un’impareggiabile sinfonia.

 

LO STILE DELLE ILLUSTRAZIONI

 

L’arte è superficie e simbolo. Chi va oltre la superficie lo fa a proprio rischio e pericolo” – affermava Oscar Wilde nella prefazione di “Il ritratto di Dorian Gray” (1890-1891).

Senza dubbio le elegantissime silhouette in bianco e nero di Beardsley sono l’esatta icona di questa poetica: decorazioni piatte, asimmetriche, superficiali, in netto contrasto con il naturalismo trompe l’oeil, con tutto ciò che è volume o corpo plastico, con le forme massicce, pesanti, sovraccariche, con l’eccesso dei particolari, insomma con il gusto dell’epoca vittoriana matura.

 

Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894
Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894

 

Il genio irriverente di Wilde trovò piena risposta nei disegni di Beardsley: stani figurini “alla moda” dal tono grottesco, raffinato ed elegante, votati ad interpretare una tragedia antica e senza tempo.

 

LO SCANDALO

 

La “Salomè” provocò subito un grande sdegno fra il pubblico inglese che la ritenne licenziosa ed immorale, tanto che le prove per la sua rappresentazione furono sospese nel 1892.

L’addetto alla censura dei testi teatrali ritenne l’opera inadatta e la proibì, riesumando una vecchia legge che vietava di rappresentare a teatro personaggi biblici.

Lo stesso “Times“, il 23 febbraio 1893, definì la “Salomè” una “bizzarra pubblicazione, una composizione in sangue e ferocia, morbosità, bizzarria, un prodotto repellente e blasfemo che adatta il linguaggio biblico a situazioni che ne rovesciano la sacralità.”

La frivolezza della composizione, più degli argomenti erotici trattati, fu ciò che scandalizzò: il riso era senza dubbio un’arma letale per un establishment, come quello vittoriano, così ferocemente serioso.

 

LO STILE DEL DRAMMA

 

La vena dissacrante di Wilde riuscì a colorare questo dramma di toni volutamente sarcastici: i personaggi paiono tanti burattini orchestrati dalla regia lucida e cinica del drammaturgo.

Più che una tragedia pare di assistere ad una commediola borghese: Salomè ne esce come una femmina capricciosa che pretende l’impossibile dal maturo spasimante (in questo caso Erode) e lo spolpa alla maniera di una qualche cocotte di provincia.

 

Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894
Aubrey Beardsley, Illustrazione per Salomè di Oscar Wilde, 1894

 

I personaggi non hanno storia, non vengono descritti nelle loro caratteristiche somatiche, nei loro tratti distintivi: sintetizzati in un nome si disperdono in questa lapidaria nominazione ed i loro corpi, non rappresentati, vengono suggeriti ed elusi al contempo da un’ambigua simbologia di immagini.

In tal senso si può affermare che il testo di Wilde e la traduzione grafica di Beardsley tendono verso una forma di autotelismo, dove la parola e il segno fanno riferimento a loro stessi e a null’altro, sono essi stessi oggetto d’arte, cifra estetica che non vuole significare altro da sé. E in questa autoreferenzialità e introversione, l’arte affonda dentro di sé, ma più spesso contro di sé, il proprio mito, in una deriva che va verso l’informale: una belle époque che volgeva nella tragedia della modernità.