BELLA E DETERMINATA, TRASGRESSIVA ED INDIPENDENTE, TAMARA DE LEMPICKA FU LA PROTAGONISTA DI UN’EPOCA, ICONA ASSOLUTA DELLA PITTURA DÉCO.
“Io le mode le faccio, non le seguo.” (Tamara de Lempicka)
TAMARA DE LEMPICKA, LE ORIGINI
Tamara de Lempicka, al secolo Tamara Rosalia Gurwik-Gorska, nacque a Varsavia il 16 maggio 1898, da Malvina Decler, di nazionalità polacca, e da Boris Gurwik-Górski, ricco ebreo di origini russe, che tuttavia abbandonò la famiglia quando l’artista era poco più di una bambina.
La giovane crebbe affidata alle cure della madre e della nonna Clementine, figura quest’ultima di grande importanza per la sua educazione artistica e culturale.
Nel 1910, dopo la morte dell’amata nonna, Tamara si trasferì a San Pietroburgo, dove conobbe il nobile avvocato polacco Tadeusz Lempicki Junozsa, con il quale si unì in matrimonio nel 1916. Pochi mesi dopo le nozze nacque la loro unica figlia, Marie Christine, detta Kizette, che sarà la protagonista di diversi ritratti della pittrice.
In seguito ai tumulti legati alla rivoluzione comunista scoppiati in città, la coppia fuggì a Parigi, andando ad ingrossare le file dei profughi russi della capitale francese.
“Vivo la vita ai margini della società, e le regole della società normale non si applicano a coloro che vivono ai margini.” (Tamara de Lempicka)
TAMARA DE LEMPICKA, L’AFFERMAZIONE
Gli esordi parigini non furono dei più felici. Da esule russa, una fra le tante, Tamara visse le difficoltà di una donna che aveva perso tutto quello che aveva. Lo stesso marito dovette reinventarsi una professione come commerciante di tesori trafugati dalla Russia.
Ma Tamara non si perse d’animo, si diede da fare, determinata a raggiungere il successo attraverso l’arte. Si iscrisse ai corsi di pittura dell’Académie de la Grande Chaumiere e dell’Académie Ranson, dove ebbe come maestri Maurice Denice e André Lhote.
In breve tempo si conquistò una certa fama, esponendo per la prima volta al Salon d’Automne del 1922, per poi partecipare alle maggiori mostre di Parigi. Di pari passo con la sua affermazione, l’artista cominciò a costruire attorno a sé un personaggio in grado di aumentare la sua popolarità.
Si lanciò a capofitto nei divertimenti della Ville Lumière, abbandonandosi ad amori liberi e disinibiti, anche con donne. I suoi atteggiamenti cinici e sfrontati non furono, come ella sosteneva, altro che una forma di ribellione contro “le vecchie e sterili sentimentalità, le gelosie artificiali, il patetico delle separazioni e delle fedeltà eterne.” Insomma un modo per rivendicare la propria individualità di donna e di artista.
“Amavo ritrarmi bella, seducente, ricca e annoiata.” (Tamara de Lempicka)
TAMARA DE LEMPICKA, LO STILE
Tamara de Lempicka fu la protagonista indiscussa dell’Art Déco, fedele interprete della realtà a lei contemporanea. Con uno stile unico ed inconfondibile, essa si impose come ritrattista del bel mondo e dei lussi della modernità: immagini fredde e levigate, che si distinguono per la forza costruttiva e la durezza metallica delle cromie.
I personaggi di Tamara sono statue senza vita, manichini levigati, ove l’equilibrio dei gesti fa da contraltare alla calcolata ambiguità degli sguardi. Nulla è lasciato al caso, tutto ha una sua regola precisa. Non vi è nulla di volgare o di sovrabbondante, ma ogni singolo elemento concorre alla perfetta armonia della composizione.
Evidente è l’influsso della statuaria antica, del classicismo francese e dei grandi maestri italiani, che la Lempicka ben conosceva, come affermò in una lettera indirizzata a Gabriele D’Annunzio del 1927: “Venerdì, Caro Maestro, e amico (come spero e intensamente desidero), sono appena arrivata a Firenze!!! Perché proprio Firenze? Per lavorare, per studiare i cartoni del Pontormo, per purificarmi al contatto della vostra arte sublime, per respirare l’atmosfera di questa incantevole città, per dissipare le tristezze, per cambiare lo scenario, ecco perché mi trovo qui.”
TAMARA DE LEMPICKA, I SOGGETTI
Tamara de Lempicka fu l’artista prediletta dall’élite aristocratica e borghese del suo tempo, restituendoci l’immagine di un’epoca scintillante, fatta di sfarzo e mondanità. Abiti alla moda, gioielli vistosi, svaghi di tendenza, fanno da cornice al ritratto di una società avvezza agli agi e al benessere.
In Sain Moritz, dipinto del 1929, viene esaltato il lato più glamour dello sci; uno sport di tendenza, praticato in una delle località più esclusive del tempo. Qui la pittrice intende celebrare l’eleganza della donna rappresentata, più che lo sforzo fisico richiesto dall’azione sportiva. Con un taglio di capelli a carré molto corto, i guanti di daino e il maglione a collo alto, rosso con i risvolti bianchi, il soggetto sembra essere in posa, proprio come se si trattasse di una réclame commerciale.
Un altro tema di grande attualità da lei trattato, inerente all’emancipazione femminile, fu quello del lesbismo. Negli anni Venti del secolo la rive gauche parigina era animata da coppie di donne che rivendicavano pubblicamente le loro scelte di vita, anche se contrarie al sentire comune. Primavera, opera del 1928, costituisce un esempio della delicatezza con la quale la Lempicka si occupò questo scabroso argomento.
“Difficile essere donna in questo mondo. Per sopravvivere devi usare il corpo e la sessualità. Ho orrore della pornografia.” (Tamara de Lempicka)
TAMARA DE LEMPICKA, ICONA DEL SUO TEMPO
Per una donna del primo Novecento affermarsi a livello professionale non era certo facile, ma Tamara superò ogni ostacolo e pregiudizio, imponendosi come artista e come icona del suo tempo. Il suo successo professionale andò di pari passo con l’affermazione della sua immagine. Ella proponeva un nuovo modello di donna, una donna libera, in grado di farsi strada da sola in un mondo guidato dagli uomini.
La prestigiosa rivista di moda tedesca Die Dame le dedicò numerose copertine, l’azienda cosmetica Revlon le propose di pubblicizzare un nuovo rossetto, ed intanto i suoi dipinti facevano il giro del mondo, esposti nelle più importanti gallerie. La sua vita sociale era frizzante e dirompente: habitué dei locali mondani, frequentava letterati del calibro di Francis Scott Fitzgerald, Jean Cocteau, Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele D’Annunzio che la invitò, come sua ospite, al Vittoriale.
Autoritratto in Bugatti verde costituisce un esplicito omaggio a questo nuovo tipo di femminilità, indipendente e consapevole delle proprie potenzialità. Tamara si ritrae in una lussuosa auto da corsa, simbolo per eccellenza della modernità. Indossa un caschetto da pilota e guanti di pelle di daino. Il collo è avvolto da una sciarpa grigia. Il volto è truccato in modo impeccabile: le sopracciglia sono sottili e definite, le labbra carnose e tinte di rosso fuoco. Lo sguardo è deciso e distante, sottolineandone la forza caratteriale. La sua è una corsa solitaria nella pienezza dell’esistenza.
“L’automobile non segnerà soltanto un’epoca, ma sarà il simbolo della liberazione della donna: avrà fatto, per spezzare le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette. Dal giorno in cui ha afferrato il volante Eva è diventata uguale ad Adamo. Quando una donna avrà tra le mani una forza di diciotto cavalli che guiderà col mignolo, si farà beffe dell’uomo che, da secoli, le dice: Io sono il tuo padrone perché ho dei muscoli più forti dei tuoi e perché posso asservirti con la maternità.” (Tamara de Lempicka)
TAMARA DE LEMPICKA, L’EPILOGO
Nel 1928, all’apice della sua carriera, Tamara divorziò dal primo marito, Tadeusz Lempicki Junozsa, per legarsi al barone ungherese Roul Kuffner de Dioszegh, che sposerà nel 1933.
In seguito ad una profonda crisi esistenziale, cominciò a dipingere soggetti di contenuto pietistico ed umanitario, imprimendo un radicale cambiamento nel suo stile pittorico.
A causa della minaccia nazista, l’artista e il nuovo coniuge si trasferirono a New York. Qui Tamara cominciò a realizzare delle opere astratte, che tuttavia non incontrarono il consenso della critica e del pubblico. La mostra, allestita nel 1962, presso la Galleria Jolas di New York fu un vero fallimento.
Dopo la morte del marito, avvenuta nel novembre di quell’anno, Tamara se ne andò a Huston, dove viveva la figlia Kizette, per poi ritornare a Parigi. Una grande mostra antologica, organizzata dalla Galerie du Luxemburg nel 1972, riportò alla ribalta l’anziana pittrice.
Nel 1978, al tramonto della sua esistenza, Tamara si rifugiò a Cuernavaca, in Messico, dove sposò il giovane scultore Victor Manuel Contreras e dove, il 18 marzo 1980, si spense nel sonno. Secondo le sue volontà testamentarie venne cremata e le sue ceneri furono sparse sul cratere del vulcano Popocatépetl.
“Mi piaceva uscire la sera e avere un bell’uomo al mio fianco che mi diceva quanto ero bella o quanto grande era la mia arte.” (Tamara de Lempicka)