ESSERI AMBIVALENTI DAL CORPO DI PESCE O DI UCCELLO E CON IL VOLTO DI BELLISSIME DONNE, LE SIRENE RAPPRESENTANO IL TRANELLO MORTALE VERSO IL QUALE CI CONDUCONO I NOSTRI SENSI.
“Devo essere una sirena. Non ho paura della profondità e ho una gran paura della vita superficiale.” (Anaïs Nin)
LE SIRENE, IL MITO ANTICO
Uno dei primi poeti a descrivere le sirene fu Omero nella sua Odissea. Nel Libro XII compaiono queste straordinarie creature, intente e mettere alla prova Ulisse ed i suoi compagni di viaggio.
“Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti / gli uomini incantano, chi arriva da loro. / A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce / delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini / gli sono vicini, felici che a casa è tornato, / ma le Sirene lo incantano con limpido canto, / adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa / di uomini putridi, con la pelle che raggrinza.” (Omero, Odissea, XII, vv. 39-46)

La loro genesi è incerta, secondo alcuni sarebbero state generate dall’unione di una musa con il fiume Acheloo, secondo altri sarebbero nate da Forco, antico dio degli Abissi, e dal mostro marino Ceto.
In origine le sirene erano delle fanciulle bellissime, piene di grazia e dolcezza, tanto che Demetra le volle come compagne della figlia Pesefone. E fu proprio questa la loro disgrazia; si trovavano infatti in compagnia di Persefone quando Ade, dio degli Inferi, la rapì per condurla con sé nell’Oltretomba. Demetra si infuriò così tanto con loro per non aver impedito il ratto, che le trasformò in mostri dal corpo di uccello e dalla testa di donna.
LE SIRENE, LA RAPPRESENTAZIONE
Secondo la mitologia classica le sirene venivano rappresentate come donne-uccello, fu solo in epoca medievale, grazie anche all’influenza operata dalle leggende del Nord Europa, che si affermò la loro tipica iconografia di donne-pesce.
Ambigue e polimorfe, le sirene vennero ben presto ad incarnare quell’idea misogina, alquanto diffusa, che vedeva nelle donne il ricettacolo di qualsivoglia perdizione.
“È la creatura pallida, dagli occhi di fuoco, la vipera del Nilo che si avvinghia e soffoca, essa sconvolge gli imperi, mena le armi in guerra e svanisce sotto un bacio, conosce i filtri che fanno innamorare ed i veleni che fanno morire; le madri ne spaventano i loro figli ed i re languiscono per ella d’amore.” (Gustave Flaubert)

Soggetto molto caro ai Preraffaelliti, e alla pittura simbolista più in generale, la sirena fu una delle tante rappresentazioni della femme fatale, la seduttrice malefica sempre pronta a coinvolgere il maschio in un turbine di peccato e perdizione.
John William Waterhouse dipinse nel 1891 Ulisse e le sirene, dove le sirene sono raffigurate come uccelli, e La sirena nel 1901 dove la venere marina viene interpretata nella sua veste più comune di donna-pesce. In Pesci d’argento (1899) e Bisce d’acqua (1904-1907) Gustav Klimt esaltò la natura provocante femminile ricorrendo all’immagine delle sirene, creature arcane ed ammalianti.
LE SIRENE, IL MITO MODERNO
Durante il Novecento, complice anche la neonata psicoanalisi, la donna assunse sempre di più i connotati di una malattia, un morbo contagioso contro il quale l’unica difesa appariva la resa. In questo modo il mito di Ulisse venne totalmente stravolto.
Se la leggenda fosse una grande mistificazione e le sirene non ammaliassero i marinai con il loro canto ma con il loro silenzio, come immaginò Franz Kafka in un suo racconto del 1917, intitolato proprio “Il silenzio delle sirene”?
“Le sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio. Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio.” (Franz Kafka)
Con l’incalzare della modernità, e la relativa emancipazione della donna, anche Ulisse si trasformò in un antieroe pusillanime e rinunciatario. Il silenzio delle sirene venne così a rappresentare il rifiuto della donna di farsi oggetto del desiderio altrui, segnando così un’insanabile frattura tra i due sessi: annichilite da un Ulisse divenuto sordo ai loro richiami, le sirene si videro costrette a sprofondare nella nostalgia di un rapporto di fusione non più possibile.

Il Surrealismo accolse questo diffuso senso di malessere e il disagio esistenziale di una società che aveva perso le sue radicate certezze. Ne Le grandi sirene, dipinto dal pittore belga Paul Delvaux nel 1947, il mostro canoro fu interpretato come una statuaria sacerdotessa del silenzio, venerando il mistero del suo fascino in una raggelata solitudine. Di fronte a questo femmineo così lontano e distante il maschio si sottrae. Ci troviamo dinanzi alla massima espressione di incomunicabilità fra uomo e donna. La pace fra i sessi è un eden perduto.
“Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri.” (Cesare Pavese)
LE SIRENE, IL MITO POPOLARE
Alla pari di molte altre figure antropologiche, la sirena è divenuta un tòpos, un luogo comune presente nella nostra esistenza quotidiana. Dalla pubblicità al cinema, dalla moda alla musica, dalla fotografia al teatro, nessun ambito si è sottratto alla magia conturbante della sirena.
Indimenticabili i fascianti abiti-sirena delle dive del cinema hollywoodiano, come quello indossato da Rita Hayworth in “Gilda” (1946) o quelli di Marilyn Monroe e Jane Russel ne “Gli uomini preferiscono le bionde” (1953). Per non parlare poi della notissima rivisitazione letteraria operata da Christian Andersen ne “La sirenetta” (1837), talmente iconica da diventare il simbolo di Copenaghen e da essere oggetto di numerosi riadattamenti per il cinema, il teatro, la musica ed il balletto.

Ma l’immagine più famosa, quella che tutti noi abbiamo avuto sotto i nostri occhi almeno una volta, è quella del logo di Starbucks. Capelli fluenti, cinta da una corona e dallo sguardo serafico, la sirena di Starbucks accompagna ogni tazza di caffè servito dalla catena americana dal 1971.
“Le sirene non hanno lacrime e per questo soffrono molto di più.” (Hans Christian Andersen)