IL SURREALISMO FU UNA DELLE ULTIME AVANGUARDIE STORICHE DEL NOVECENTO.

Sorto all’inizio come movimento letterario, ben presto il Surrealismo si trasformò in una tendenza onnicomprensiva ed articolata che si interrogò non solo su questioni prettamente artistiche, ma anche su tematiche più popriamente politiche.

 

LA SCACCHIERA SURREALISTA

 

Nel 1934 Man Ray, con una geniale intuizione, riunì in una specie di scacchiera figurata i principali interpreti del surrealismo; vi compariva chi surrealista lo fu fin dal principio, come Max Ernst, chi fu espulso dal gruppo dopo il primo anno, come Salvador Dalí, e chi non vi aderì mai formalmente, come Giorgio de Chirico.

 

Man Ray, Scacchiera surrealista, 1934
Man Ray, Scacchiera surrealista, 1934

 

Osservando questa curiosa foto di famiglia emerge la carica eversiva del Surrealismo, che si poneva non solo come precursore per altri indirizzi creativi, ma anche come concezione di vita, filosofica ed estetica insieme, pensiero forte più che semplice idea di arte.

 

GENESI E POETICA

 

Nel 1924, con la pubblicazione del Manifesto redatto da André Breton, nacque ufficialmente il Surrealismo: un progetto collettivo per le forme e per gli effetti, ma quasi totalmente ascrivibile a Breton per la teorizzazione.

Artisti provenienti dalle esperienze più disparate si riunirono sotto questo vessillo con l’intento di tradurre il sogno in opera d’arte. Prendendo le mosse dal movimento Dada, che operò la prima radicale distruzione del concetto classico di arte, i surrealisti affermarono la loro volontà di allontanemento dal reale non tralasciando, al contempo, una decisa presa di posizione poilitica: prendere le distanze dal mondo non come pura evasione, ma come volontà di ricostruire quello stesso mondo partendo dall’indagine della propria interiorità.

 

René Magriite Il mondo invisibile 1954
René Magriite Il mondo invisibile 1954

 

L’esistenza è qui ed ora ma, nello stesso tempo, è altrove, nella dimensione onirica e recondita dell’essere, mai nella trascendenza o nella negazione. Partendo da questo presupposto i surrealisti elaborano una poetica che coniugava la sperimentazione artistica con un progetto politico ideale: il comunismo.

L’arte si proponeva come strada privilegiata per vivere il presente: il Surrealismo non si costituì come movimento, nemmeno come scuola, ma si impose come una vera e propria pratica esistenziale. L’idea era quella di allargare la base della coscienza propugnando un risveglio dell’immaginazione, la sola facoltà in grado di abbattere i limiti posti tra sonno e veglia: si tematizzava la deriva del desiderio e il superamento delle convinzioni morali di stampo borghese.

 

René Magritte, Il fantino perduto, 1942
René Magritte, Il fantino perduto, 1942

 

Solo la parola libertà ancora mi esalta. Io la credo atta a mantenere acceso indefinitivamente l’antico fanatismo degli uomini. E senza dubbio risponde alla mia sola legittima aspirazione.

Tra i tanti mali ereditati si deve pur riconoscere che la più grande libertà di spirito ci è lasciata. Sta a noi di non farne cattivo uso. Incatenare l’immaginazione, anche trattandosi di ciò che comunemente si chiama felicità, è come sottrarci a ciò che v’è nell’intimo nostro di suprema giustizia.

Solo l’immaginazione mi dà conto di ciò che può essere, e questo mi basta per sollevare un poco il terribile interdetto; mi basta per abbandonarmi a lei senza timore di errori (come se fosse possibile ingannarsi di più).

(André Breton da “Il Manifesto del Surrealismo”, 1924)

 

Max Ernst, La vestizione della sposa, 1939-1940
Max Ernst, La vestizione della sposa, 1939-1940

 

Lo scopo dell’arte non è più dunque la mera imitazione della natura, ma la trasfigurazione visiva di una realtà interiore: attraverso il fare artistico si può accedere a quello stato di “surrealtà” che sovverte gli equilibri precostituiti. L’impresa che impegnò i surrealisti fu quella di rappresentare questa surrealtà con il linguaggio formale tradizionale: partendo da codici linguistici noti essi vedono, e ci fanno vedere, al di là del senso comune e della banale percezione.

Chiudi gli occhi così da vedere per prima cosa la tua pittura con gli occhi dello spirito, poi porta alla luce del giorno ciò che vedi durante le tue notti, onde il tuo operare si eserciti, a sua volta, su altre entità dall’esterno verso l’interno.” (Caspar David Friedrich)

 

LE TECNICHE

 

I surrealisti, nel loro viaggio all’interno della surrealtà, sperimentarono anche nuove tecniche artistiche e poetiche, come ad esempio il cadavre exquis. Questa tecnica traeva origine da un vecchio gioco da tavolo in cui i partecipanti scrivevano a turno in un pezzo di carta, lo piegavano per coprire parte della scrittura e poi lo passavano al giocatore successivo per un ulteriore contributo.

Il nome della tecnica deriva dalla frase che fu ottenuta quando il gioco fu disputato per la prima volta nel 1925 : “Le cadavre – exquis – boira – le vin – nouveau” (“Il cadavere squisito berrà il vino nuovo”). Il procedimento prevedeva la presenza di quattro artisti intenti a disegnare collettivamente un corpo: uno avrebbe disegnato la testa, uno il busto, uno le gambe e l’ultimo i piedi. Le zone di congiunzione erano fisse, il resto era lasciato alla piena libertà. Si era persino liberi di disegnare cose diverse che parti umane, o aggiungere nuovi elementi. Lo schema era così poco regolato che le possibilità erano infinite, e ciò stimolava la creatività.

 

Man Ray, Joan Miró, Max Morise, Yves Tanguy, Cadavre exquis, 1928
Man Ray, Joan Miró, Max Morise, Yves Tanguy, Cadavre exquis, 1928

 

Un’altra tecnica utilizzata dai surrealisti, in particolar modo da Max Ernst, per dare vita ad una pittura libera da condizionamenti razionali, fu il frottage.

Già conosciuta nell’antica Cina e nella Grecia classica, consisteva nello sfregamento, mediante una matita o un pastello, di un supporto posato sopra una superficie ruvida ottenendo, attraverso processi automatici, immagini inedite e casuali.

 

Max Ernst, La città intera, 1934 - Frottage
Max Ernst, La città intera, 1934 – Frottage

 

Mi è impossibile considerare un quadro come qualcosa di diverso da una finestra a proposito della quale la mi aprima preoccupazione è sapere su cosa si affacci.  In altre parole sapere se c’è una bella vista e niente mi piace quanto ciò che si estende davanti a me a perdita d’occhio. Godo all’interno di un quadro, figura, paesaggio o marina, di uno spettacolo sconfinato.” (André Breton)

 

I PROTAGONISTI

 

ANDRÉ BRETON (Tinchebray, 19 febbraio 1896 – Parigi, 28 settembre 1966)

MAN RAY (Filadelfia, 27 agosto 1890 – Parigi, 18 novembre 1976)

MAX ERNST ( Brühl, 2 aprile 1891 – Parigi, 1 aprile 1976)

ANDRÉ MASSON (Balagny-sur-Thérain, 4 gennaio 1896 – Parigi, 28 ottobre 1987)

JOAN MIRÒ (Barcellona, 20 aprile 1893 – Palma di Maiorca, 25 dicembre 1983)

FRANCIS PICABIA (Parigi, 22 gennaio 1879 – Parigi, 30 novembre 1953)

RENÉ MAGRITTE (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967)

PAUL DELVAUX (Antheit, 23 settembre 1897 – Furnes, 20 luglio 1994)

SALVADOR DALÍ (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989)

YVES TANGUI (Parigi, 5 gennaio 1900 – Woodbury, 15 gennaio 1955)

MARCEL DUCHAMP (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968)

HANS (JEAN) ARP (Strasburgo, 16 settembre 1887 – Basilea, 7 giugno 1966)