RROSE SÉLAVY FU UN’INVENZIONE STRAORDINARIA DI MARCEL DUCHAMP; ESSA RAPPRESENTÒ MOLTO DI PIÙ DEL SUO ALTER EGO FEMMINILE, PORTANDO ALLA RIDEFINIZIONE DEL CONCETTO DI ARTISTA COME INDIVIDUO UNICO, MASCHILE ED INDISSOLUBILE.

Mi sono servito della pittura, mi sono servito dell’arte per stabilire un modus vivendi, una specie di metodo per capire la vita, cercare cioè per il momento di fare della mia stessa vita un’opera d’arte, invece di passarla a creare quadri e sculture. Ora penso si possa usare il proprio modo di respirare, di agire, di reagire agli altri. Si può trattarli come un quadro un tableu vivant, o un’immagine cinematografica, se volete.” (Marcel Duchamp)

 

RROSE SÉLAVY, L’ORIGINE

 

La prima rappresentazione di Rrose Sélavy risale al 1921, anno di una fotografia di Man Ray dove Marcel Duchamp indossò i panni di una donna. Fin dal suo apparire Rrose si mostrò con delle caratteristiche ben precise: una donna elegante, con abiti alla moda, e un atteggiamento altero, quasi sfrontato.

Il travestimento di Duchamp, un gesto all’apparenza provocatorio e banale, mise in moto una serie di riflessioni sull’arte e sul ruolo dell’artista nella società a lui contemporanea. Servendosi della sua duplicazione egli creò un’immagine altra da sé, specchio esemplare della natura ambigua e ambivalente di tutta la sua opera. Non esistono più certezze precostituite, ma solo dubbi, interrogativi e dilemmi.

 

Man Ray, Marcel Duchamp come Rrose Sélavy, 1921
Man Ray, Marcel Duchamp come Rrose Sélavy, 1921

 

Ma oltre a costituire l’alter ego di Duchamp, Rrose si fece anche opera dotata di una sua forza espressiva ed autonomia rappresentativa; con questo stratagemma Duchamp fece di sé stesso un ready-made vivente, dove anche il nome acquisito faceva parte di un arguto gioco di parole.

Volevo cambiare la mia identità e dapprima ebbi l’idea di prendere un nome ebraico. Io ero cattolico e questo passaggio di religione significava già un cambiamento. Ma non trovai nessun nome ebraico che mi piacesse, o che colpisse la mia immaginazione, e improvvisamente ebbi l’idea: perché non cambiare di sesso? Da qui viene il nome Rrose Sélavy. Oggi suona abbastanza bene, perché anche i nomi cambiano col tempo, ma nel 1920 era un nome sciocco. La doppia “R” ha a che fare con il quadro di Picabia “Oeil Cacodylate esposto nel cabaret Le Boeuf sur le Toit e che Picabia chiedeva a tutti gli amici di firmare. Credo di aver scritto Pi Ou ‘habilla Rrsose Sélavy.” (Marchel Duchamp)

 

RROSE SÉLAVY, IL READY-MADE

 

Il personaggio di Rrose Sélavy fu capace di superare il limite impostogli dall’essere il ready-made di Duchamp e, affrancandosi dai lacci del suo creatore, firmò come autrice una nuova fragranza: Belle Haleine eau de Voilette. Realizzato nel 1921, questo profumo è un autentico capolavoro dove non è tanto il contenuto ad essere importante, ma il contenitore: la funzionalità dell’oggetto, ossia il profumare, viene totalmente svuotata di senso per esaltare il lato estetico della sua confezione.

Per realizzare questa chicca, Duchamp si servì di una bottiglietta di Rigaud, profumo di lusso per eccellenza, di cui rifece l’etichetta e ridefinì il packaging. Anche in questo caso il nome scelto non fu casuale, ma il risultato di un rompicapo creato da arguti giochi di parole. Eau de Voilette si riferisce, per assonanza, alla poesia di Rimbaud Les Voyelles, mentre Belle Haleine richiama l’espressione francese de longe haleine, ossia di lungo respiro, che allude alla passione che Duchamp nutriva per le cose da lui definite “ultrasottili”, presenze effettive e contemporaneamente sfuggenti.

 

Marcel Duchamp, Belle Haleine eau de Voilette, 1921
Marcel Duchamp, Belle Haleine eau de Voilette, 1921

 

In virtù della sua ingegnosa ideazione e per il fatto che ne esiste un solo pezzo, Belle Haleine eau de Voilette è il profumo più costoso di tutti i tempi. Appartenuto alla collezione privata di Yves Saint-Laurent, è stato battuto all’asta da Christie’s per la somma record di 8,9 milioni di euro. Non male per un profumo che si atteggia a non essere tale!

L’opera d’arte vive, dal momento in cui è stata creata e realizzata, una cinquantina d’anni, sessanta, non si può dire quanto, poi l’opera muore. Però in quel momento entra nella storia dell’arte. Quindi la storia dell’arte non comincia se non dopo la morte dell’opera, mentre finché l’opera vive, o per lo meno nei primi cinquanta anni della sua vita, c’è una relazione con le persone che vivono nello stesso periodo e l’hanno accettata, rifiutata, discussa. Quando quella gente muore, muore anche l’opera. In quel momento è la storia dell’arte ad avere inizio.” (Marcel Duchamp)