EREDE DELLE AVANGUARDIE D’ANTEGUERRA, LA BAUHAUS RAPPRESENTÒ UN IMPORTANTE PUNTO DI RIFERIMENTO PER I MOVIMENTI ARTISTICI PIÙ RIVOLUZIONARI DEL VENTESIMO SECOLO.

L’arte diventa il carattere d’ogni umano impulso positivamente vitale e costruttivo; e, come perenne volontà di coscienza è l’antitesi di ogni brutale volontà di potenza, spirito di pace contro spirito di guerra, virtù contro furore.” (Giulio Carlo Argan, “Walter Gropius e la Bauhaus”, 1951)

 

LA BAUHAUS, LA GENESI

 

Nell’aprile del 1919 un manifesto sanciva la nascita della Bauhaus, il cui nome completo era Staatliches Bauhaus Weimar, una scuola che intendeva riunire gli insegnamenti dell’Accademia di Belle Arti a quelli della Scuola di Artigianato Artistico. Il frontespizio del programma recava impressa la nota xilografia di Lyonel Feininger dal titolo “Cattedrale”, immagine simbolo della vocazione rivoluzionaria dell’istituto.

 

Manifesto della Bauhaus con la xilografia "Cattedrale" di Lyonel Feininger, 1919
Manifesto della Bauhaus con la xilografia “Cattedrale” di Lyonel Feininger, 1919

 

L’intenzione era quella di abbattere le barriere che si erano frapposte tra arte ed artigianato, conciliando, in questo modo, la creazione artistica con la produzione industriale. Un’innovazione totale che scardinava i contenuti e i metodi della didattica tradizionale, secondo i principi dell’Opera d’Arte Totale (Gesamtkunstwerk).

Formiamo dunque una nuova corporazione di artigiani. […] Impegniamo insieme la nostra volontà, la nostra inventiva, la nostra creatività nella nuova costruzione del futuro, la quale sarà tutto in una sola forma: architettura, scultura e pittura e, da milioni di mani di artigiani, si innalzerà verso il cielo come un simbolo cristallino di una nuova fede che sta sorgendo.” (Walter Gropius)

 

LA BAUHAUS DI WEIMAR

 

Il primo direttore della scuola fu l’architetto Walter Gropius che chiamò a sé le migliori menti della sua epoca. Dalla preesistente Accademia Granducale arrivarono a Weimar i pittori Max Thedy, Otto Frohlich e Walther Klemm, ai quali si aggiunsero artisti riconducibili alle tendenze espressioniste, come Lyonel Feininger o Gerhard Marcks, e lo svizzero Johannes Itten, seguace di un astrattismo di stampo spiritualista.

L’avvio della Bauhaus fu difficoltoso, sia per ragioni di tipo economico, sia perché si dimostrò molto arduo tradurre in pratica l’ambizioso progetto formativo. Superare i confini tra le arti presupponeva una visione unitaria della conoscenza e un dialogo costante tra gli insegnanti, spesso animati da concezioni divergenti.

Nonostante ciò, tra mille tentennamenti ed infinite incertezze, la Bauhaus portò avanti un’importante battaglia per un ritorno ad un artigianato di qualità, sfrondato dai suoi aloni più romantici, e per questo capace di dialogare con la moderna realtà industriale.

Se dovessimo rifiutare del tutto il mondo che ci circonda, allora la sola soluzione resterebbe l’isola romantica. […] un mal compreso ritorno alla natura rousseauiano. Ma se invece vogliamo rimanere in questo mondo, allora le forme delle nostre creazioni assumeranno ancor di più il suo ritmo.” (Walter Gropius)

 

A sinistra il logo della Bauhaus del 1919 e a destra quello rivisitato del 1922.
A sinistra il logo della Bauhaus del 1919 e a destra quello rivisitato del 1922

 

Il 23 agosto 1923 venne inaugurata a Weimar la prima collettiva della Bauhaus, esposizione che raccoglieva il risultato concreto degli sforzi intellettuali intrapresi dalla scuola. Nonostante i giudizi positivi l’esibizione non portò risultati economici di rilievo e nemmeno la tanto sperata collaborazione con il mondo industriale tedesco. La Bauhaus si rivelava una bella ma inattuabile utopia.

Con l’entrata del partito comunista nella Repubblica di Weimar le tensioni politiche si intensificarono e la stessa scuola ne fu colpita, tanto che anche Gropius fu vittima della repressione poliziesca, sospettato di complicità con il comunismo. Il quadro storico andava rapidamente mutando e la fine della Bauhaus di Weimar si presentava come un fatto inevitabile.

Il 26 dicembre 1924 Walter Gropius e i suoi collaboratori votarono per la chiusura della scuola.

 

LA BAUHAUS DI DESSAU

 

Nel 1925 la Bauhaus si ricostituì a Dessau, cittadina industriale a sud di Berlino. A Walter Gropius venne affidato il prestigioso compito di realizzare la sede dell’istituto e le case-atelier riservate ai docenti. Il risultato fu travolgente: un’opera straordinaria, realizzata secondo i dettami dell’architettura moderna.

Abbandonati gli usuali impianti compositivi simmetrici e conclusivi, lo spazio fu interpretato in maniera più dinamica e fluida, rifiutando, al contempo, soluzioni predeterminate e definite: cadevano le barriere tra interno ed esterno, venivano meno le separazioni tra fronte e retro, si aboliva l’idea di struttura come confine.

Una costruzione che scaturisca dallo spirito attuale si allontana dall’apparenza rappresentativa della facciata simmetrica.” (Walter Gropius)

 

Walter Gropius, Esterno della Bauhaus di Dessau
Walter Gropius, Esterno della Bauhaus di Dessau

 

La grande innovazione di Dessau fu la costituzione, nel 1927, del Dipartimento di Architettura, la cui guida venne affidata allo svizzero Hanners Meyer. Questo evento contribuì a trasformare la Bauhaus in una scuola di architettura, perdendo un po’ quella vocazione totalizzante che aveva caratterizzato le sue origini.

Nel 1928 Gropius si dimise dalla direzione della Bauhaus e nominò Meyer suo successore. La breve stagione di Meyer, durata fino al 1930, introdusse nella scuola una concezione fortemente radicale dell’architettura, convinto convinto com’era della sua intrinseca capacità di promuovere una cultura di massa.

L’acuirsi dei dissidi politici, il progressivo aumento dei contrasti ideologici, nonché una palese simpatia di Mayer nei confronti del comunismo, portarono all’allontanamento di Mayer e alla successiva chiusura della Bauhaus.

Le cose nella Bauhaus diventano ogni giorno sempre più insopportabili, gli studenti comunisti stavano diventando i trendsetter, una discussione con Meyer sembrava necessaria.” (Fritz Hesse, sindaco di Dessau)

 

LA BAUHAUS, L’EPILOGO

 

Nel 1932 il partito nazionalsocialista divenne il partito più importante della Germania. Le ombre del nazismo si stavano addensando anche sul mondo delle arti.

Il 22 agosto 1932 si decise di chiudere nuovamente la Bauhaus per riaprirla, come istituto privato, nella città di Berlino. Ma fu un’avventura di breve durata. Nell’aprile del 1933 la Gestapo occupò la nuova sede e la dichiarò sotto sequestro: il sogno di una società trasformata dall’arte crollava sotto le spinte della repressione politica.

Nel 1933 Joseph Goebbels, uno dei più importanti gerarchi nazisti, fu nominato Ministro della Propaganda e, come tale, incaricato di definire il modello culturale della nuova società ariana. Da quel momento in Germania fu concesso produrre esclusivamente “arte tedesca”, ossia un’arte di maniera celebrativa del potere e dei suoi esponenti. La Bauhaus ed i suoi artisti furono completamente travolti da questa “dittatura culturale”.

 

Vasilij Kandinskij, Giallo, Rosso e Blu, 1925
Vasilij Kandinskij, Giallo, Rosso e Blu, 1925

 

Il 19 luglio 1937, a Monaco, fu organizzata la prima mostra dell’Arte Degenerata (Entartete Kunst). L’esposizione, curata da Adolf Ziegler, riuniva le opere delle avanguardie con la precisa volontà di metterle in ridicolo: il regime voleva far sapere ai tedeschi che certe forme artistiche non erano più accettate. L’arte moderna era degenerata in quanto ebraica, bolscevica, o comunque non tedesca, e quindi di razza inferiore.

Gli autori delle opere proibite, considerati personalità malate e deviate, erano di artisti che oggi riconosciamo come dei grandi maestri: Otto Dix, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Max Liebermann, Emil Nolde, Edvard Much, Ernst Ludwing Kirchner e molti altri, compreso il “più degenerato degli artisti”, Pablo Picasso.

E così, mentre la Germania si apprestava a scrivere la pagina più buia della sua storia, intellettuali, artisti e scienziati cercavano rifugio in altri paesi. Le idee maturate all’interno della Bauhaus si sparsero così in terreni più fecondi.

Lo scopo di tutta l’attività plastica è la costruzione. Ornarla era, anticamente, il compito più nobile delle arti plastiche, componenti inseparabili della grande architettura. Oggi si trovano in una situazione di autosufficienza singolare, dalla quale si libereranno solamente attraverso la cosciente attuazione unita e coordinata di tutti i professionisti. Architetti, pittori e scultori debbono di nuovo imparare a conoscere e a capire la forma complessa dell’architettura nella sua totalità e nelle sue parti; solo allora le sue opere saranno un’altra volta piene di spirito architettonico che si è perso nell’arte del salone.” (Walter Gropius)

Nel dicembre del 1996 gli edifici della Bauhaus di Weimar e di Dessau furono dichiarati patrimonio UNESCO.

 

LA BAUHAUS, IL DESIGN CHE HA FATTO STORIA

 

Teso tra razionalità ed utopia, la Bauhaus ebbe un’influenza determinante nella creazione di oggetti d’uso comune capaci di coniugare funzionalità a senso estetico. Ancora oggi, senza saperlo, utilizziamo elementi di design nati grazie all’ingegno di questa straordinaria scuola.

Acciaio, vetro, compensato e plastica erano i nuovi materiali con cui questi oggetti venivano plasmati; materiali non convenzionali al tempo, ma molto utilizzati dal mondo dell’industria, a rimarcare l’estremo senso pratico della Bauhaus.

Ecco alcune delle realizzazioni più iconiche della Bauhaus.

 

LA SEDIA WASSILY

Conosciuta anche con il nome di Modello B3, la Sedia Wassily fu disegnata nel 1925 da Marcel Breuer, direttore dal 1925 al 1928 del Laboratorio del Mobile della Bauhaus. Sotto la sua guida si cominciò a disegnare dei mobili moderni, tra cui le famose sedie in tubolare di ferro.

 

Marcel Breuer, Sedia Wassily, 1925
Marcel Breuer, Sedia Wassily, 1925

 

Nel 1962 l’italiano Dino Gavina convinse Bauer a produrre la sedia su scala industriale, dandole il nome di Wassily, per omaggiare il pittore Kandinskij che aveva preteso il primo esemplare per il suo appartamento. La sedia, prodotta ancora oggi dall’azienda americana Knoll, ha apportato un’innovazione significativa nell’arte dell’arredamento.

 

LA POLTRONA BARCELONA

Nel 1929 l’architetto Ludwing Mies van der Rohe fu incaricato di progettare il padiglione tedesco per l’Esposizione Universale di Barcellona. In quel frangente egli ideò anche la famosa poltrona che prese il nome dalla città in cui si teneva l’esposizione. Docente e direttore della Bauhaus, van der Rohe disegnò questa poltrona secondo i principi del “less is more” (meno è di più), un mantra costruttivo che applicava ad ogni suo lavoro.

 

Ludwing Mies van der Rohe, Poltrona Barcelona, 1929
Ludwing Mies van der Rohe, Poltrona Barcelona, 1929

 

Scheletro d’acciaio e cuscino realizzato con quaranta riquadri, tutti diversi, tagliati e cuciti a mano con trapuntura a bottoni, la Barcelona è stata copiata in tutto il mondo, affermandosi come un’icona del design moderno. La poltrona fu ri-progettata nel 1950 dallo stesso van der Rohe, apportando delle piccole modifiche ai materiali utilizzati, e fu commercializzata tre anni dopo dall’azienda Knoll, tuttora proprietaria dei diritti di produzione.

 

LA LAMPADA WAGENFELD

Sotto la direzione di László Moholy-Nagy presero vita diverse collaborazioni tra il Laboratorio del Metallo e la fabbrica di lampadine Schwintzer und Gräff. L’intenzione era di progettare nuovi prodotti capaci di rispondere alle esigenze del mondo dell’industria. Da questa sinergia nacquero ben cinquantatré progetti.

 

Wilhelm Wagenfeld, Lampada Wagenfeld, 1924
Wilhelm Wagenfeld, Lampada Wagenfeld, 1924

 

Nel 1924 venne disegnata una lampada da tavolo rivoluzionaria, raffinata e razionale al tempo stesso, la MT9/ME1, disegnata da Wilhelm Wagenfeld. Ai nostri giorni prodotta dall’azienda tedesca TECNOLUMEN, essa è costituita da base e colonna di vetro, giunture in metallo e corpo illuminante formato da una sfera bianca.

 

LA TEIERA DI MARIANNE BRANDT

Designer, pittrice e scultrice, Marianne Brandt è stata l’unica donna da aver lavorato presso il Laboratorio del Metallo della Bauhaus. Nel 1924 ideò una teiera seguendo lo stile geometrico della scuola.

Partendo dalle forme basilari, quali sfera, cilindro e parallelepipedo, la Brandt ha costruito un oggetto altamente funzionale ed estremamente razionale, adatto alla produzione in serie.

 

Marianne Brandt, Teiera, 1924
Marianne Brandt, Teiera, 1924

 

La teiera è stata realizzata in acciaio inox, materiale che resiste alla corrosione e all’ossidazione. Il risultato è un oggetto di raffinata eleganza nella sua purezza formale. Negli anni successivi la teiera è stata riedita e venduta da Alessi che ne detiene, ancora oggi, l’esclusività del marchio.

 

LA SEDIA BRNO

Nel 1928 Ludwig Mies van der Rohe progettò, su commissione dei coniugi Tugendhat, la loro villa, situata a Brno, nell’attuale Repubblica Ceca. Oltre all’edificio, ne progettò gli interni e alcuni mobili, tra cui la nostra famosa sedia, capace di superare in popolarità la stessa dimora.

 

Ludwig Mies van der Rohe, Sedia Brno, 1928
Ludwig Mies van der Rohe, Sedia Brno, 1928

 

Si tratta di una sedia a sbalzo, il cui telaio in acciaio è composto da un unico pezzo, a forma di C, in grado di sostenere una struttura basculante. Un oggetto dalle linee essenziali che interpreta alla perfezione l’idea semplificatrice della Bauhaus. Oggi è prodotta dall’azienda americana Knoll.

 

NESTING TABLES

Nel 1922 Josef Albers arrivò alla Bauhaus dove, tra il 1926 ed il 1927, divenne direttore artistico del Laboratorio dei Mobili. Oltre ad insegnare Albers progettò posate, stoviglie e mobili, tra cui i famosi Nesting Tables, progettati per l’appartamento privato della famiglia Moellenhof a Berlino.

 

Josef Albers, Nesting Tables, 1926
Josef Albers, Nesting Tables, 1926

 

I Nesting Tables sono una serie di tavolini ad incastro, realizzati in massello di rovere e vetro acrilico laccato. Sono oggetti che hanno uno charme particolare, poiché uniscono la razionalità ad uno spirito giocoso, grazie all’uso dei colori tipici della Bauhaus, il giallo, il bianco, il rosso e il blu. Sono prodotti oggi da ICDesign.

 

La nostra questione stilistica non è in alcun modo una questione soprattutto formale. Proprio questa è la differenza tra il nostro stile e gli altri stili passati. […] Noi oggi siamo orientati verso problemi funzionali, cioè alla soluzione di problemi funzionali. Se noi diamo forma alle cose così che queste funzionino correttamente, allora il problema è concluso. […] Così la nostra questione stilistica non è neppure una questione di tendenza ma di qualità. […] Una sedia, per esempio, non deve essere orizzontale-verticale, e neppure espressionista, né costruttivista, né ancora fatta al servizio della sua funzionalità, e non deve adattarsi al tavolo, ma deve limitarsi a essere una buona sedia.” (Marcel Breuer, “Arte e industria: una nuova unità”, 1923)