SALOTTIERO E RAFFINATO, CELEBRE PER LA SUA POLIEDRICA ATTIVITÀ DI FOTOGRAFO, DISEGNATORE E COSTUMISTA, CECIL BEATON VOTÒ LA SUA ESISTENZA ALL’ALTARE DEL GLAMOUR.
I suoi atteggiamenti leziosi ed effemminati celavano un’omosessualità repressa che, ben lungi dal manifestare, lo indusse ad instaurare improbabili relazioni amorose con personaggi ambigui, come la divina Greta Garbo. Non si curò mai delle chiacchiere che si facevano alle sue spalle. Il suo unico scopo era quello d’immortalare i simulacri dell’alta moda, le celebrities e i rampolli di sangue blu, convinto che tutto ciò fosse tremendamente chic.
“Forse il secondo delitto più atroce è la noia. Il primo è essere noiosi.” (Cecil Beaton)
CECIL BEATON, GLI ESORDI
Sir Cecil Beaton – il cui nome completo era Cecil Walter Hardy Beaton – nacque a Londra il 14 gennaio 1904 da Ernest Beaton, facoltoso commerciante di legname, ed Etty Sissons. Si appassionò ben presto alla fotografia, grazie all’influenza della su tata Alice – teneramente chiamata Ninnie – Collard.
Nel 1915 ricevette in dono la sua prima macchina fotografica, una Kodak 3A a soffietto. Con questo apparecchio cominciò a scattare delle foto che avevano per soggetto la madre e le sorelle, Nancy e Barbara, messe abilmente in posa tra specchi, tendaggi e tessuti.
Era già evidente, nel giovane Cecil, l’attenzione alla costruzione dell’ambiente. Una buona foto doveva essere il risultato della visione d’insieme. La sua estetica, alla quale rimase sempre fedele, era quella di coniugare l’artificio scenografico alla realtà quotidiana per creare accostamenti raffinati ed inconsueti.
Dopo aver frequentato il liceo si iscrisse all’Università di Cambridge, dove studiò storia, architettura ed arte, senza però mai smettere di dedicarsi alla fotografia. Nel 1924 il primo grande riconoscimento, quando un suo lavoro intitolato La duchessa di Malfi – un ritratto dell’amico George Ryland modificato – venne pubblicato dalla prestigiosa rivista di moda Vogue.
Abbandonata l’Università nel 1925, riottoso ad una noiosa vita dietro ad una scrivania, decise di diventare un fotografo professionista, forte del grande successo ottenuto da una sua mostra di ritratti, tenutasi in una galleria del West End nel 1926.
“Siate audaci, siate differenti, siate poco pratici, siate qualsiasi cosa che possa affermare l’integrità della convinzione e dell’immaginazione.” (Cecil Beaton)
CECIL BEATON, LA NOTORIETÀ
Nel 1929 Cecil Beaton fece il suo primo viaggio a New York, città che alimentò la sua bramosia di lusso ed opulenza. Collaborando in modo continuativo per le riviste del gruppo Condè Nast, si mosse con dimestichezza tra divi del cinema, artisti, scrittori, cantanti, stelle dello sport e ricchi borghesi. Ben presto, però, si rese conto che il mondo dei ricchi e famosi non era poi così scintillante: il denaro non poteva comprare il buon gusto.
E così, se da una parte rincorreva il mito di un’inimitabile eleganza, dall’altra si scagliava contro quel “bel mondo” che non corrispondeva alla sua idea di bellezza. Nell’esprimera la sua profonda delusione, Cecil non risparmiava a nessuno le sue critiche taglienti.
Paragonava Katharine Hepburn ad uno stivale rinsecchito, considerava Peggy Guggenheim orribile e sciatta, non esitava a bollare Virginia Woolf come un suino, definiva Leonard Bernstein disgustoso e repellente, riteneva del tutto volgari Elisabeth Taylor e Richar Burton ai quali la stampa dell’epoca dedicava le sue copertine.
Giunse persino a scagliarsi contro la Casa Reale inglese, commentando la bruttezza e grossolanità della principessa Anna. La sua arte divenne per lui il rifugio dalla mediocrità: il sogno di un mondo perfettamente sublime prendeva forma nella sua opera.
“Cerca di osare, essere differente e, soprattutto, di non essere mai pratico. Lotta contro ciò che è ordinario. Le routine avranno anche i loro fini, ma sono anche le nemiche assolute della grande arte.” (Cecil Beaton)
CECIL BEATON, SCENOGRAFO E COSTUMISTA
La sua vocazione alla teatralità, assieme alla grande attenzione che prestava ai dettagli, trovarono perfetta espressione nell’attività di costumista e di scenografo che gli valsero, per ben tre volte, la vittoria agli Oscar.
La prima grande collaborazione fu con Vincente Minnelli per Gigi, trasposizione cinematografica del 1958 di un romanzo di Colette. Tra memoria storica ed invenzione letteraria, con i suoi costumi riuscì a evocare il sogno della belle époque nella Parigi di fine Ottocento.
Altri progetti per il cinema ed il teatro lo tennero impegnato fino al 1964, anno del trionfo di My Fair Lady, di cui curò la scenografia ed i costumi, aggiudicandosi la prestigiosa statuetta. Indimenticabile l’abito bianco e nero indossato dalla protagonista, che divenne l’emblema della pellicola e si guadagnò un posto di primo piano nella storia del costume.
Sul set di questo film Cecil fece la conoscenza di Audrey Hepburn: tra il vanaglorioso artista e la sofisticata attrice scattò un’immediata sintonia. Audrey divenne il soggetto prediletto di molti suoi scatti e fu tra le prime persone che ringraziò quando, nel 1972, venne nominato Cavaliere della regina Elisabetta II. Fu una delle poche ad essere risparmiata dalle pesanti frecciate del fotografo che non esitò a riconoscerle delle qualità da star: ha più carattere che bell’aspetto. È intelligente, sveglia, schietta ma con tatto, tenera senza sdolcinatezza.
CECIL BEATON, GLI ULTIMI ANNI
Il trionfo hollywoodiano costituì l’apice della carriera di Cecil Beaton, ma non ne determinò il declino. Lungi dal riposarsi sugli allori, egli seppe rinnovarsi, rimanendo sempre al passo con i tempi.
Al volgere degli anni Sessanta si affacciavano sulla scena internazionale le nuove leve della fotografia di moda come Richard Avedon ed Irving Penn. Beaton all’inizio ne rimase un po’ sconcertato tanto che, con la sua solita irriverenza, rilasciò un’intervista al Journal dove affermò: non ne posso più del mio solito vomito. Foto di modelle che sopravvivono solo finché restano impersonali o di vecchie e ricche arpie che posano come se avessero in bocca un panetto diburro che non si scioglie. Decise così di rivolgersi ad una realtà fino ad allora sconosciuta, quella del pop.
Lasciata da parte la patinata società blasonata, si ritrovò a stretto contatto con gli artisti del momento, molto più di tendenza e meno imbalsamati in rigide etichette di bon ton. Fu una vera e propria scoperta documentata in scatti memorabili.
Con molti di questi personaggi egli instaurò rapporti di amicizia, come con Andy Warhol, al quale lo legava una reciproca simpatica, o con Mick Jagger, che lo stregò con il suo fascino androgino: ero affascinato dalle curve del suo corpo. Mick era un fenomeno raro. Era allo stesso tempo sexy e innocente. Avrebbe potuto essere un eunuco.
Nel 1974, in seguito ad un ictus, Cecil Beaton rimase paralizzato nel lato destro del corpo, ma non si diede per vinto. Reagì alle circostanze, imparando ad usare la mano sinistra ed adattando gli apparecchi fotografici alla menomazione: il suo desiderio di esprimersi era più forte delle avversità fisiche. Continuò a scattare fino alla sua morte, avvenuta il 18 gennaio 1980, non trascurando di fare della sua vita un perenne capolavoro.
“La vera moda è oltre la moda.” (Cecil Beaton)